Gesù aveva raccontato la parabola della vedova importuna e del giudice iniquo per ribadire “la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai”(Lc 18,1). San Paolo raccomandava di “pregare ininterrottamente”(1Ts6,17) e inviti simili rivolge in 2Ts 1,11, Col 1,3, Ef 6,18.
Fin dalle origini cristiane si è cercato di praticare questa raccomandazione e i Padri del deserto testimoniano l’uso di ricorrere alla ripetizione frequente di formule brevi (del tipo “O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mia aiuto”), pronunciate 100, 200, 1000… volte: è la preghiera numerica, che tende a diventare preghiera continua. Sant’Antonio il Grande, il padre del monachesimo, raccomandava sul letto di morte di “respirare sempre Cristo”.
L’inno Akathistos (=in piedi) già nel VI secolo testimonia la ripetizione dell’ “Ave” (in greco chaire) per accompagnare le invocazioni di una lunga (24 strofe) preghiera alla Vergine Maria.
Nel frattempo si è sempre continuato fra i Cristiani l’uso, di derivazione sinagogale, di pregare recitando il salterio ( i 150 salmi), secondo uno schema che lo distribuisce nell’arco della settimana. Ma la devozione personale porta a recitarlo tutto intero nella giornata, ed anche più volte al giorno.
Il salterio è però preghiera colta, destinata a chi sa leggere e conosce il latino e la Bibbia; come farlo recitare agli illetterati? Si escogita la soluzione di sostituirlo con la recita di 150 preghiere più brevi e facili, soprattutto il Padre Nostro, ma più tardi (sec.XII), si sostituisce o si mescola l’Ave Maria.
Il progressivo allontanarsi dalla cultura biblica rendeva sempre più arduo il raggiungimento dell’ideale che permeava la preghiera cristiana: trovare Cristo nei salmi. Vi si cercherà di rimediare aggiungendo ad ogni salmo dei brevi commenti di carattere cristologico. Questi commenti a poco a poco sostituiranno il salterio.
Lo stesso procedimento è applicato alla Vergine Maria, e così, a partire del XIII secolo avremo i “Salteri di Gesù Cristo” e i “Salteri di Maria”.
Così, nel medioevo, ci troveremo con quattro tipi di salterio: dei Pater e delle Ave, più popolari, e quelli di Gesù, di Maria, di carattere più dotto. In comune hanno l’uso di formule brevi e ripetute, il numero 150, il carattere cristologico e/o mariano. Tutto questo in un clima spirituale che sottolinea gli aspetti sensibili della pietà, come le gioie e i dolori.
Nel ‘400 questi elementi tendono a mescolarsi e, in ambito certosino, avvengono due fatti decisivi per la nascita di quello che sarà il rosario: la divisione del salterio delle 150 Ave in 15 decadi precedute da un Pater (quando si parla dell’Ave, in quest’epoca si intende solo la prima parte, senza il “Santa Maria”, che si diffonderà un secolo più tardi), e in seguito la proposta di un rosario ininterrotto di 50 Ave, seguite ognuna da 50 clausole [la clausola è una breve proposizione relativa che segue il nome di Gesù e si riferisce al mistero della sua vita che si sta contemplando, ad esempio: … Gesù, che è nato per noi] che seguono la vita di Gesù dalla nascita fino alla gloria dei beati. Viene così ottenuta l’unione della preghiera numerica con la proposta di temi da meditare: siamo ormai quasi al nostro rosario
Alano de la Roche (1428-1475), domenicano, fonda nel nord della Francia una confraternita per la devozione e la propagazione del Salterium Mariae, ossia il rosario. Questa preghiera è strutturata sulla ripetizione di 150 Ave divise in decine, raggruppate in tre gruppi dedicati all’ incarnazione, alla passione e alla gloria di Gesù. Dopo Alano il rosario (ormai si chiamerà solo così) si diffonde rapidamente in tutta Europa e ben presto assume la struttura fissa, solennemente ratificata dal papa san Pio V (1569), che mantiene fino ai nostri giorni. Solo all’alba del terzo millennio il papa Giovanni Paolo II proporrà di aggiungere i “misteri della luce”, incentrati sull’attività pubblica di Gesù.
In conclusione, dopo ormai più di cinque secoli di rosario: sono spariti dalla devozione popolare la preghiera numerica-continua e il salterio, quest’ultimo è stato lasciato ai soli chierici, per tutti gli altri c’è la corona. Addirittura -pratica raccomandata perfino dai Papi- il rosario accompagna la celebrazione della messa, che non è “partecipata” ma ormai soltanto “sentita”, “vista”… La riforma liturgica porta con sé la necessità di “rivedere” anche il rosario. Lo faranno egregiamente i papi Paolo VI e Giovanni Paolo II, rispettivamente con la Marialis Cultus (1974) e con la Rosarium Virginis Mariæ (2002).

Alcune indicazioni per superare gli evidenti limiti che hanno finito per cristallizzarsi intorno a questa preghiera:
– Innanzitutto il rosario NON è “la” preghiera cristiana: questa si realizza nella celebrazione dei sacramenti e nella liturgia delle ore. Il rosario è un pio esercizio che riguarda la devozione privata, dalla Scrittura e dalla liturgia prende origine e alla Scrittura e alla liturgia deve condurre.
– Bisogna superare la dicotomia tra la parola e il pensiero, tra la preghiera vocale e l’orazione mentale: nel rosario la preghiera è NELLA parola, la ripetizione della parola è preghiera.

Perché la ripetizione della parola sia davvero preghiera sono necessari un ritmo lento, l’uso della clausola e l’eliminazione di aggiunte superflue. Pertanto la struttura del rosario va riportata alla sua semplicità:
– introduzione (segno della croce e/o versetto “O Dio vieni a salvarmi…”),
– enunciazione del mistero,
– Padre nostro,
– [la lettura del brano biblico (raccomandata nella recitazione comunitaria, in quella individuale può essere omessa) va fatta dopo il Padre nostro e prima delle Ave],
– decina di Ave Maria con la clausola dopo il nome di Gesù (meglio dire il Santa Maria solo alla decima Ave),
– Gloria al Padre,
– conclusione (è tradizionale la Salve Regina, ma va bene ogni antifona mariana)
– [solo al termine del rosario si possono fare le eventuali aggiunte legate alla devozione locale o personale, come il ricordo dei defunti, litanie, giaculatorie, intercessioni…]

Ripetere la parola di Dio, se ci si pensa bene, è il modo liturgico di pregare: si restituisce a Dio la sua parola. L’uso della clausola diventa determinante perché così si può ripetere il Nome in riferimento al mistero. E’ il modo oggettivo per cui la preghiera resti nella parola ascoltata, ripetuta, meditata. E così il rosario ritorna a collocarsi nella linea della grande preghiera cristiana: la lectio divina che nella ripetizione continua diventa meditatio, oratio, contemplatio.