“Tu sei il Figlio mio l’amato”

13 gennaio 2019

Isaia 40,1- 5.9-11; Sal 103; Tt 2,1-14. 3,4-7; Lc 3,15-16.21-22

Il profeta Isaia trasmette una parola di consolazione al popolo esiliato a Babilonia, perché ormai la sua schiavitù è prossima al termine: Dio sta tornando con potenza presso il popolo umiliato, chiedendo che le valli siano colmate e le colline spianate per consentire l’avvento della sua gloria. La lettera a Tito è una sintesi dell’intera storia della salvezza, intesa come apparizione della grazia e di Dio, apportatrice di salvezza agli uomini, non in virtù delle opere della giustizia, ma come dono di misericordia. Essa comporta il lavacro di rigenerazione, il battesimo, attraverso cui gli uomini divengono eredi nella speranza della vita eterna. La nuova condizione di vita dei credenti suppone il rinnegamento del peccato e l’assunzione di una vita nella sobrietà, giustizia e pietà. Il vangelo descrive la scena battesimale, nella redazione di Luca. Gesù è battezzato, su di lui scende in forma di colomba lo SS mentre è in preghiera. La voce celeste lo dichiara figlio amato. I cieli si squarciano.

La solennità del Battesimo del Signore conosce almeno due grandi piste interpretative, quella strettamente cristologica e quello antropologica, il battesimo di Gesù e il battesimo nostro, la vicenda del Figlio di Dio divenuto figlio dell’uomo e la vicenda degli uomini chiamati a divenire figli di Dio.

Il fatto che si compie sulla riva del fiume Giordano costituisce una delle tre grandi manifestazioni pubbliche di Gesù, assieme alla visita dei Magi in cui egli s’è rivelato come re dei Giudei e le nozze di Cana, in cui s’è mostrato come iniziatore del mondo nuovo, mutando l’acqua in vino.

Gesù accettando di sottoporsi a questo rito, viene dichiarato Figlio di Dio dalla voce paterna, “il mio Figlio l’amato” o il beneamato in cui il Padre si compiace, colui su cui scende in pienezza lo Spirito Santo e sul quale si squarciano i cieli. Il Dio uno e trino si rivela su queste acque, presenziando a un rito che esalta l’umile riconoscimento della peccaminosità umana e domanda la remissione di queste colpe.

Gesù si sottopone al battesimo non certo per la rimozione del peccato, di cui egli è assolutamente indenne, ma per manifestare la sua solidarietà con le genti che vi si accostavano, divenendone in un certo senso capo e rappresentante.

È nel bel mezzo della preghiera, che segue al suo rito di immersione, che si squarciano i cieli e scende lo Spirito Santo in forma di colomba, si ode la voce del Padre, che riconosce il proprio Figlio.

Il gesto di solidarietà e abbassamento di Gesù spalanca i cieli, quelli che risultavano interdetti all’uomo a causa della sua trasgressione e che il profeta aveva desiderato vedere aperti; “se tu squarciassi i cieli e scendessi” (Is. 63,19). In Cristo è spalancata la via del Paradiso.

Il Padre dialoga con Gesù, non semplicemente, “questi è il mio figlio”, ma il più confidenziale e interpersonale “tu sei il mio Figlio”. La relazione tra Padre Figlio diviene l’esemplare del nuovo modo di porsi dell’uomo nei confronti di Dio. La preghiera di Gesù assurge a paradigma della preghiera nostra nell’intimità e nella fiducia.

Sempre la voce divina dichiara che Gesù è l’amato, in cui il Padre si compiace, perché egli realizza in sé le prerogative del Messia intronizzato del salmo (2,7) e quello del Servo di YHWH di cui parla il profeta Isaia (42,1ss) chiamato a recare il diritto alle nazioni non facendo udire in piazza la sua voce, non spezzando la canna incrinata e non spegnendo il lucignolo fumigante. È questo il regno che Dio vuole inaugurare, quello che egli gradisce, quello in cui prevale la forza dell’amore, della mitezza, della dolcezza, del dono e il sacrificio di sé, come via per la salvezza del mondo intero.

In questo senso e secondo queste linee direttrici, davvero la scena del battesimo di Gesù è una di quelle che meglio esprimono la sua identità e la sua missione.

Il battesimo di Gesù diviene però anche il battesimo nostro, per almeno tre motivi. Perché egli solidarizza con gli altri fedeli che scendono nelle acque, perché lo Spirito scende in forma corporea e pubblica agli occhi del mondo, infine, perché il Battesimo è strettamente congiunto, nella pagina evangelica, alla genealogia di Gesù, che in forma ascendente giunge sino ad Adamo. L’umanità intera è invasa da questa irruzione della grazia divina. L’evento che ha manifestato l’identità di Gesù, è anche il fatto che definisce l’identità del cristiano, la filiazione adottiva, il dialogo fiducioso e sincero con il Padre celeste, la venuta dello Spirito portatore della novità interiore, l’accesso al Paradiso, ossia all’eredità celeste.

La lettera a Tito aiuta a entrare in questo mistero mostrando come l’opera di salvezza realizzata in Cristo attinga la vita di ogni uomo attraverso il lavacro di rigenerazione, che è al tempo stesso comunicazione del dono dello Spirito Santo, giustificazione per grazia, accesso nella speranza all’eredità della vita eterna. Tale dono suppone una rottura con il passato di peccato, volontà di instaurare un nuovo modello di vita, che la lettera esprime in termini di sobrietà, giustizia e pietà. L’evento battesimale tocca l’esistenza dell’uomo e lo rinnova radicalmente a partire da un nuovo modo di porsi nei confronti di se stesso (la sobrietà), del prossimo (la giustizia) e di Dio (pietà).

Si comprende allora il senso del passaggio di Isaia, che inneggia alla gioia del popolo. Sì siamo davvero consolati perché sulle rive del Giordano si è compiuta la rivelazione della gloria di Dio agli uomini, in Gesù noi pure rinasciamo, in Lui la condanna è rimossa, il paradiso è ormai alla portata nostra.