«PERCHÉ STATE A GUARDARE IL CIELO?»
13 MAGGIO 2018
LETTURE: At 1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
Entrando nel dettaglio della scelta offerta della liturgia della Parola, possiamo procedere dal racconto proposto come prima lettura e tratto dagli Atti degli Apostoli, che fa da introduzione alla proclamazione della pericope del vangelo secondo Marco. La densa pagina paolina, parte della lettera agli Efesini, viene ad offrire elementi di approfondimento del mistero celebrato, capaci di favorirne una più intensa contemplazione teologica.
Per quanto riguarda il punto di vista della narrazione, che qui sviluppiamo a partire dall’ascolto della prima lettura e della pagina evangelica, occorre dapprima osservare come l’Ascensione svolga una funzione critica: da un lato, segna il compiersi di un percorso fondamentale e, dall’altro, richiede che ci si disponga ad una nuova fase della cammino già autorevolmente inaugurato. Con l’Ascensione, se accettiamo la bipartizione fondamentale dell’opera lucana, si compie il racconto evangelico, in cui rivolgendosi a Teofilo, l’Evangelista dice di aver “trattato di tutto quello che Gesù fede e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo” (At 1,1-2a). Gesù ha compiuto la sua missione, ha raggiunto Gerusalemme e lì ha donato la propria vita sulla croce e l’ha ricevuta nuovamente dal Padre. Risorto e apparso agli apostoli, li ha accompagnati a comprendere come vivere quello che è stato chiamato “il tempo della chiesa”. Si tratta di rimanere a Gerusalemme, in primo luogo, per attendere che venga effuso il dono dello Spirito Santo secondo la promessa del Padre. In secondo luogo, rafforzati dallo Spirito Santo, gli apostoli sono chiamati a rendere testimonianza a Gesù proprio a partire da Gerusalemme (laddove il Nazareno è stato messo a morte), per proseguire in tutta la Giudea e la Samaria (tenendo insieme le due regioni religiosamente nemiche), fino ad annunciare il vangelo ai confini della terra. Nessuno può essere escluso dall’annuncio misericordioso del Risorto e, ciò che più stupisce, è la volontà del Signore che chiede alla chiesa di annunciare il perdono proprio là dove egli è stato violentemente rifiutato! Con l’Ascensione il Signore ritorna al Padre, al fine, per così dire, di lasciare “spazio” per l’azione degli apostoli cui è affidata la missione di continuare – sul fondamento dell’azione dello Spirito Santo – quanto inaugurato e compiuto da Gesù. Agli uomini di Galilea, così come a noi, è ribadito di non perderci a guardare il cielo, nella sterile immobilità di chi non ha compreso né il senso della missione del Figlio, né quello della missione dello Spirito Santo, ma di lasciarci effettivamente coinvolgere dalla storia della salvezza così come è stata voluta da Dio. Posta infatti la pietra d’angolo e il fondamento degli apostoli, ognuno di noi è chiamato ad essere pietra viva della Gerusalemme celeste. Così è della chiusa del vangelo secondo Marco. Predicazione, amministrazione del battesimo, opere di guarigione: così la chiesa, noi tutti, siamo chiamati a rispondere alla chiamata di Gesù prima di ascendere al cielo e sedersi alla destra del Padre: “Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo ad ogni creatura”.
Grazie alla lettura dell’intensa pagina paolina, si può ora tentare di sviluppare il profilo sistematico del mistero dell’Ascensione. L’Apostolo, innanzitutto, mette in luce la fondamentale connessione tra il mistero dell’Ascensione e quello dell’Incarnazione, dal punto di vista del dono di grazia che porta a pienezza il disegno di Dio sulla creazione: “Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose” (Ef 4,9-10). Il valore architettonico del mistero dell’Ascensione sta quindi nel fatto che, adottando il punto di vista che esso dischiude, si può cogliere come l’umanità – unita ipostaticamente al Figlio incarnato – sia coinvolta nella stessa vita intratrinitaria, entrando nell’eterna fruizione della vita divina e divenendo mediatrice della grazia che porta a pienezza tutte le cose. Unita al Verbo in modo irrevocabile, l’umanità vive della vita divina pienamente nel Capo, in vista di attraversare l’intero suo Corpo che è la chiesa. Tutto ciò che da Dio giunge agli uomini vi giunge attraverso la mediazione di Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo. In forza di questo mistero, la mediazione umana e carnale della grazia può avviare il processo che condurrà al compimento del disegno. Un compimento tale da comportare l’edificazione della Chiesa, nel rispetto della suo mistero di differenza nell’unità. Laddove apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri sono chiamati in modo differente per edificare l’unico “corpo di Cristo […], fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,12-13).