Ampiamente mediatizzata come fenomeno di spettacolo e costume, oltre che di cultura, la Prima della Scala di Milano, nel giorno della Festa Patronale di Sant’Ambrogio, è un classico imperdibile e la diretta televisiva lo rende accessibile anche a chi non appartiene all’alta borghesia VIP della Milano da bere. Quest’anno l’Opera lirica in cartellone per l’ouverture era davvero un pezzo per intenditori, sconosciuto ai più anche se con la prestigiosa prerogativa di una prima assoluta andata in scena proprio al Teatro alla Scala, il 28 marzo 1896. Stiamo ovviamente parlando dell’Andrea Chénier, opera lirica in quattro quadri di Umberto Giordano su libretto di Luigi Illica, ispirata alla vita del poeta francese omonimo, con sullo sfondo le ore più drammatiche della Rivoluzione francese. Alla vigilia del ritorno dell’Andrea Chénier alla Scala, siamo stati raggiunti telefonicamente ad Istanbul, dagli animatori del programma di Radio Rai3, Suite, che si occupa dei grandi eventi musicali in Italia e all’estero. La ragione di questo contatto era legata ad un vero e proprio “scoop giornalistico”: offrire una testimonianza degli ancora attuali proprietari della casa natale dello Chénier, i Padri Domenicani da secoli basati sulle Rive del Corno d’Oro per animare una delle comunità storiche della presenza Levantina cattolica nel vecchio quartiere di Pera-Beyoğlu, oggi Karaköy.

Louis Chénier, padre di Andrea e noto commerciante francese, parte per Costantinopoli nel 1742, dove nel 1750 viene eletto deputato della Nazione e nel 1754 nominato dall’ambasciatore di Francia (il Conte des Alleurs) incaricato degli affari commerciali francesi per il Levante. Il 25 ottobre 1754, Louis Chénier, sposa Elisabeth Santi Lomaca (o l’Homaca, secondo l’ortografia dell’epitaffio del padre Antoine, che si trova su una lastra marmorea nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo in Galata), e la coppia si insedia proprio nel quartiere dominato dalla Torre di Galata, a prossimità della Chiesa dei Padri Domenicani. Questi, presenti nel quartiere ben prima dell’occupazione ottomana del 1453, hanno officiato per decenni nella grande e spaziosa chiesa di San Paolo ai piedi della collina di Galata, trasformata in moschea, intorno al 1478, a beneficio dei Turchi e soprattutto dei mussulmani arabi che avevano popolato l’antica Pera dopo la partenza di molti genovesi e latini di diversa origine, al momento della conquista ottomana di Costantinopoli. I Frati Predicatori trovarono nuovo rifugio e, soprattutto, una piccola cappella dove officiare, un centinaio di metri più a monte, ospiti di un certo Pietro Antonio Zaccaria, che aveva ereditato una cappella di famiglia dai Bisticcia, famiglia genovese molto conosciuta in quegli anni. A partire dal 1608 erano formalmente sotto il protettorato di Venezia ma praticamente sotto la tutela francese. Questa divenne davvero ufficiale nel 1705, quando furono interrotti i rapporti coi Veneziani. A quest’epoca la residenza di Saint Pierre in Galata divenne uno dei centri più importanti della sovranità francese ad Istanbul, sede degli interessi commerciali della Corona dei Borbone nel Levante, benché lungo tutto il XVIII secolo, il quartiere sarà più volte flagellato da incendi e minacciato della peste. “La piccola chiesa del monastero e gran parte delle case limitrofe andarono distrutte in un incendio del 1660 (seguito di una catastrofe simile avvenuta già nel 1603), motivo per cui i Religiosi dovettero con difficoltà non indifferente, riappropriarsi del terreno e riedificare ogni cosa, prima di un ennesimo incendio catastrofico nel 1731. L’anno successivo è quello che corrisponde all’edificazione di un primo grande edificio chiamato Sen Piyer Han, su due piani, in gran parte in legno (materiale molto duttile per fronteggiare le frequenti scosse sismiche ma particolarmente vulnerabile in caso di incendio) e costeggiante la Eski Bankalar Caddesi (la vecchia strada delle Banche), preso molto presto in affitto (secondo i documenti dell’archivio domenicano per un ammontare di 330 piastre l’anno) come sede della banca francese e alloggio per i responsabili dell’antenata della Camera di commercio francese. È in questa dimora che presumibilmente, il 30 ottobre 1762, nasce il poeta André, settimo rappresentante della famiglia Chénier. Un soggiorno ad Istanbul, il suo, che sarà per la verità molto breve: André lascerà le rive del Corno d’Oro già nell’aprile del 1765, quando suo padre rimpatria la famiglia in Francia e lo conduce unitamente a suo fratello Constantin a Carcassonne, da una zia, Marie Chénier. Difficile, in sostanza, immaginare che André Chénier potesse avere molti ricordi personali del suo soggiorno nell’antica Bizanzio (non vi farà, tra l’altro più ritorno, anche a causa della sua vita troppo breve). Ciò nonostante, enfatizzerà sempre questi suoi “natali” molto particolari, secondo il tipico stile esotico e classicista che nutriva la filosofia orientalista: un certo Occidente colonialista che si crea un’immagine di Oriente come di un luogo esotico che spazia quasi senza distinzione dal mondo arabo alla Persia, alla Turchia, all’India, basandosi sulle proprie fantasie. Insomma, l’orientalismo, pittorico come letterario, costruisce il mito di un Oriente misterioso che cita di continuo, in realtà, la sola cosa che l‘Occidente conosce bene: se stesso. Nelle sue Elegie, André Chénier scrive tra l’altro:

« Salut Thrace, ma mère, et la mère d’Orphée,

Galata que mes yeux désiraient dès longtemps !

Car c’est là qu’une Grecque en son jeune printemps,

Belle, au lit d’un époux nourrisson de la France

Me fit naître Français dans le sein de Byzance. »

Il nostro poeta non solo enfatizza i natali del francese nato nel seno di Bisanzio (finita da un pezzo visti gli oltre tre secoli di occupazione ottomana) ma inventa anche delle mitiche origini grece da parte di madre. In realtà Elisabeth Santi Lomaca, nata  nel 1729 a Chio (e non a Cipro, come talvolta affermato), non solo non era greca ma, come molti cattolici del levante, era discendente di migranti latini. Un certo Ignazio Lomaca, Ufficiale della Vénerabile Confraternità di Sant’Anna (una confraternita alla quale erano iscritti, a partire dalla metà del XVII secolo fino ai primi anni del XX secolo, praticamente tutti latini soggetti ottomani ad eccezione degli Armeni), è il primo membro della famiglia Lomaca menzionato nel registro dei battesimi della Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, in data 1683. Dunque, i Lomaca, stabilitisi a Istanbul tra gli anni 1630-1680, erano figli della colonia franca di Costantinopoli di rito latino: in altre parole, soggetti levantini dei turchi, protetti dall’ambasciata di Francia. Quanto al cognome Santi, fu mutuato da Antoine, padre di Elisabeth, da sua madre. Gli archivi di San Pietro menzionano la presenza a Costantinopoli, nel 1610, anche di un frate Domenicano, il padre Domenico de Santi, forse originario di Smirne.

Tornando all’edificio del Sen Piyer Han, l’inventario degli immobili dell’archivio conventuale a Galata, stilato nel 1785, ci dice che la casa dove si presume sia nato André fu praticamente ricostruita alla fine del 1771, in seguito ad un ennesimo gigantesco incendio scoppiato a Galata l’8 Febbraio dello stesso anno. Il nuovo edificio, arrivato in pessime condizioni fino ai giorni nostri, non era più in legno ma in muratura, con pietre squadrate, e edificato sotto la responsabilità dall’ambasciatore francese François Emmanuel Guignard, conte di Saint-Priest. A partire dal 1863, il complesso accolse la Fondazione della Banca Ottomana e, sempre in quegli anni, fu probabilmente dotato di un terzo piano, al quale si accedeva attraverso una solenne scalinata in marmo con ringhiere in ferro battuto, ancora oggi visibile. Le vicende fin qui raccontate spiegano la presenza, ancora oggi visibile sulla facciata dell’attuale edificio, dello stemma tri-gigliato dei Borbone di Francia, dello stemma del Conte di Saint-Priest e di una lastra marmorea, posta dell’architetto Vallaury (su suggerimento dello storico Régis Delbœuf, biografo di André Chénier) sulla facciata dell’edificio all’inizio del XXo secolo, portante la seguente laconica iscrizione: «Ici nacquit le poète André Chénier, octobre 30, 1762» (il primo volume del Liber Baptisatomm, in possesso degli archivi della Parrocchia di Sen Piyer, riporta la stessa data come quella anche del battesimo ad opera dell’allora parroco fra Mariano Timoni; vedi foto).

Questa storia vivificata dall’attualità operistica, accresce la frustrazione per non essere ancora riusciti come Domenicani, per molteplici intoppi burocratici, a dare il via ad un vasto progetto di restauro degli ambienti del Sen Piyer Han, che vorremmo tanto potessero diventare un vivo luogo di cultura, anche in nome degli illustri natali che ha dato. La critica recente pone lo Chénier tra i poeti di Luigi XVI, eleganti, epicurei, presi da vivo amore per l’antico; ma anche aperti alle idee moderne, che pensano di cantare in vasti poemi. Pur curioso di ogni poesia più lontana, egli resta sempre francese. Travolto dal terrore Rivoluzionario parigino del 1794, la leggenda vuole che abbia affrontato la ghigliottina recitando dei versi di Racine, perdendo la vita due giorni prima appena del suo celeberrimo nemico Robespierre. Malgrado tutto André Chenier, così figlio del suo tempo, accennava tuttavia all’avvenire che in lui, non a torto, ha sentito un precursore.

fra Claudio Monge