…leggi la prima parte dell’articolo
Ecco alcune proposte, per amare concretamente i vecchi. Per prima cosa, un giovane cristiano dovrebbe pregare per i propri nonni, vivi e morti. È una cosa facile, perché i nonni fanno già parte della nostra vita, il loro amore o il loro sacrificio – pensiamo agli anni difficili della guerra e della libertà – ci hanno dato la vita e continuano a darcela. La seconda cosa è concretizzare, passare ai fatti: se ho un nonno, una nonna viva, vado a trovarla, ma non quando avanza tempo (il tempo che avanza per i figli dura ventiquattr’ore, il tempo che avanza per i genitori zero minuti): almeno una volta al mese. Dev’essere tutto pianificato: è una priorità.
Se è proprio impossibile, non sarà impossibile fare una telefonata. Ma perché il telefono non sia una facile scappatoia per sistemare la coscienza (in fondo si può telefonare anche dal bagno), offriamo qualche croce a beneficio del genitore (o progenitore) che abbiamo sentito o stiamo per sentire. Ma siamo ancora ai preliminari: non ditemi che questo è sufficiente ad obbedire alla parabola in cui Gesù si immedesima nel bisognoso. E tutti, nessuno escluso, siamo bisognosi di carità. Allora sarà il caso, almeno, per esercitarci, di “solennizzare” alcuni compleanni significativi, come ad esempio il sessantesimo, anzi, perché no?, il cinquantacinquesimo, come “ingresso in anzianità”.
E su questo ho un appunto da fare anche ai mayores. Non dite più che a sessant’anni si è ancora giovani. È vero, la vita si allunga, la salute migliora, la media statistica si sposta, e con essa l’INPS, ma guai se venisse meno la veneranda norma dell’età senatoriale. È una realtà troppo preziosa, e necessaria al presente, per rimandarla all’infinito. Noi abbiamo bisogno di anziani. Vi prego, lasciatevi assumere in questo impiego!
Dobbiamo combattere la percezione di “scontatezza” dell’anzianità! Se facessimo conoscenza con persone poco più che cinquantenni provenienti da altri continenti, forse capiremmo che la vita è – al di là delle frasi ad effetto – veramente un dono. Torniamo a ringraziare Dio per il dono della lunga vita, che non ci siamo dati noi, perché, come dice il vangelo, noi non possiamo aumentare la nostra statura nemmeno di un centimetro. E usciamo da una mentalità scientista che vorrebbe attribuire tutto il merito di questo “miracolo temporale” al potere della tecnica, e non vede che senza cultura e senza fede la vita è angusta, e comunque sempre troppo corta. A che cosa serve, infatti, scoprire la magia che ci rende immortali, se poi accettiamo che ci sia chi per sé preferisce la morte?
fra Stefano Prina