Propongo una riflessione a partire dal sinodo sui giovani, e la tesi è presto detta: l’amore per i vecchi è l’unica strada di ringiovanimento della fede e della società. Eh sì, perché l’umanità rinasce solo dall’amore, dal vivere il duplice comandamento che ci fa vedere nel prossimo il volto di Dio. Ma il prossimo è vecchio, ha almeno cinquant’anni, e di questi la maggior parte più di sessantacinque, per cui anche Gesù, il Gesù che dobbiamo amare, è perlomeno sessantenne. Certo, non sono la totalità della popolazione, ma, almeno in Europa, è questo il prossimo più comune, e non possiamo certo fare una selezione.
È vero, i giovani sono la speranza della società, ma altrettanto lo sono gli anziani, per il fatto stesso di essere loro, per la maggior parte, il volto del “vecchio continente”, e ancor più dell’Italia. Lo so, il mondo è grande, soprattutto oggi: non possiamo pensare che l’Italia sia il centro del mondo o, peggio, tutto il mondo. Sì, ma non possiamo scappare per sempre. Prima o poi dovremo fare i conti con il nostro vicino non amato, e il giudizio sarà severissimo: tu sei andato via lontano da me, anch’io andrò via lontano da te.
Un’educazione, una catechesi o una evangelizzazione giovanile che trascuri questo non può essere un’educazione cristiana. Concretamente, ciò significa che nell’atteggiamento di noi giovani dev’esserci, e ci deve essere insegnato, anche l’esercizio costante di questo amore. Amore non facile, che proprio per questo richiede esperienze innescanti che ci abituino pian piano a far entrare cristianamente l’altro nel nostro orizzonte di interessi. Gli anziani, in fondo, sono tanti futuri realizzati; il fatto invece che noi siamo il futuro è ancora tutto da verificare.
fra Stefano Prina