La pietra d’angolo

4 ottobre 2014

LETTURE: Is 5,1-7; Sal 79; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43

La parabola che Gesù racconta nel vangelo di oggi segue immediatamente, nel testo di Matteo, quella di domenica scorsa, e ne riprende per altri versi il tema. In modo più esplicito, attraverso l’immagine della vigna, Gesù indica un’altra volta il rifiuto dei «vignaioli», ossia dei Giudei che non lo hanno riconosciuto e accolto: nella vigna di Israele sono stati rifiutati e perseguitati i servi inviati a più riprese da Dio, ossia i profeti; infine, lo stesso Figlio viene ucciso. Bisognerà allora, come il Signore lascia che affermino i suoi interlocutori, che quei vignaioli siano puniti, severamente (li «farà morire miseramente»), e che la vigna sia data ad altri vignaioli, che la facciano fruttificare: figura, questa, dell’ingresso dei gentili nell’Israele della Nuova Alleanza.

È a questo punto che Gesù, riprendendo la parola, introduce una nuova immagine, citando il Salmo 117 (22-23): quella della «pietra che i costruttori hanno scartato […] diventata la pietra d’angolo». Si tratta di un’immagine che ritroviamo molto di frequente nel Nuovo Testamento: oltre che nei passi paralleli degli altri vangeli sinottici, è chiamata in causa in At 4,11, ancora in riferimento al Salmo 117, nel primo discorso di Pietro davanti al sinedrio; nella prima lettera di Pietro (1Pt 2,4-8), dove viene ripreso anche un passo simile da Is 28,16; infine, nella lettera agli Efesini (2,20), senza alcun riferimento all’Antico Testamento. Si tratta di testi che dipendono da tradizioni diverse, non tutte riconducibili al medesimo ambiente della Chiesa delle origini: questo mostra quindi l’importanza e la diffusione di questa immagine.

A ben vedere, però, il significato non è così immediato. Che cosa significa precisamente «pietra d’angolo»? Si tratta certamente di una pietra posta in una posizione importante, e il significato generale è chiaro: quello che si riteneva degno solo di essere scartato, perché non adatto, o addirittura difettoso, pericoloso, è invece stato riconosciuto come tanto forte da essere posto in una posizione particolarmente delicata.

Vi è tuttavia un significato più preciso che nell’età medievale ha conosciuto un esito straordinariamente suggestivo. Spesso, se entriamo in una chiesa costruita in quei secoli, e alziamo gli occhi verso il soffitto, possiamo scorgere all’incrocio fra gli archi che lo reggono una pietra particolare, dalla forma singolare e spesso scolpita. L’immagine che vi è riportata non è mai banale, ma scelta accuratamente: perché quella pietra regge la volta. È la pietra posta esattamente fra le forze contrapposte, esercitate dalle altre che le stanno a fianco, e che spingono in modo convergente su di essa: solo grazie alla sua presenza, solo grazie ad essa, l’intera volta – forse, l’intero edificio – si regge: è la «chiave di volta». È questa la «pietra angolare», nell’angolo estremo dell’arco, al suo vertice. I maestri che hanno innalzato queste chiese, o chi per loro ha progettato gli straordinari programmi iconografici che riportano, molto spesso hanno fatto scolpire proprio su questa pietra, e più precisamente, in genere, su quella nella campata principale, sopra l’altare, l’Agnello: si tratta della rappresentazione dell’agnello dell’Apocalisse, «immolato fin dalla fondazione del mondo» (13,8).

È una bellissima spiegazione nell’architettura, un’esegesi in pietra, dei passi citati in precedenza. Su questa pietra, sull’Agnello immolato, si scaricano le forze, le tensioni dell’intero edificio: esso le sopporta, e in questo modo lo sostiene. Questo edificio è certamente la Chiesa, la Gerusalemme celeste, che un bell’inno della Liturgia delle ore descrive come una città in cui i salvati sono come pietre vive, che costituiscono i suoi muri. Possiamo dire anche che questo edificio è l’intero cosmo, poiché «tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste» (Gv 1,3; cfr. Col 1,16). L’Agnello, immolato dalla fondazione del mondo, è la pietra d’angolo che regge il cosmo e la storia: «egli è prima di tutte le cose, e tutte in lui sussistono » (Col 1,17; cfr. Ap 13,8).

Si può discutere a lungo sui presupposti ermeneutici dell’esegesi medievale, e sulla scarsa coscienza storico-critica (della «littera», come avrebbero detto loro) di molti dei suoi autori ma ciò che è fuori discussione è la capacità di cogliere l’essenziale e di renderlo per immagini di straordinaria forza che quest’epoca mostra. «La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo»: Cristo non è un uomo saggio, un maestro che insegna i valori e le gerarchie delle cose, qualcuno del cui insegnamento bisogna tener conto. Non è un maestro di morale: egli è ciò che regge l’edificio dell’universo: «tutta le cose sono state fatte per mezzo di lui, e in vista di lui» (cfr. il cantico dei Vespri del mercoledì, da Col 1,16).

È questo che noi diciamo di Cristo? È questo che la nostra vita dice di Cristo?

[/fusion_text][/one_full]]]>