FIGURE EVANGELICHE DELLA DECISIONE

30 settembre 2018

Letture: Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5,1-6; Mc 9,38-43.45.47-48

Le domeniche del tempo ordinario consentono al popolo di Dio, raccolto dallo Spirito attorno alla ri-presentazione sacramentale della pasqua del Signore, di toccare gli aspetti più semplici della vita cristiana nella speranza di togliere gli ostacoli che impediscono una sequela, ad un tempo, lieta e radicale. Tra questi ostacoli, soprattutto nel nostro mondo così povero di certezze stabili, dobbiamo riconoscere la crescente difficoltà di prendere decisioni, di discernere quale via intraprendere anche relativamente alle opzioni di ogni giorno. Come fare del vangelo un autentico criterio di discernimento? Le letture proposte dall’odierna liturgia della Parola ci possono aiutare, in quanto la pericope evangelica – sapientemente supportata dalla pagina tratta dal libro dei Numeri – suggeriscono almeno due criteri per orientarsi quanto agli altri e a quanto a se stessi, per onorare la vita nuova in Cristo ricevuta in dono. Il brano della lettera di san Giacomo, infine, ci consegna una dura reprimenda della vita dei ricchi che abusano del loro potere per opprimere gli ultimi. Una pagina che parla da sé, soprattutto nel momento in cui la forbice della disuguaglianza ha raggiunto un’ampiezza inaudita nel contesto della globalizzazione neoliberista.

Il brano tratto dall’Antico Testamento mostra la reazione di Giosuè rispetto a due uomini, che non erano insieme con i settanta anziani, allorché il Signore scese nella nube per parlare con Mosè, i quali furono riempiti di spirito come quelli e iniziarono a profetizzare là dove si trovavano. A questo evento, frutto della sovrabbondanza della presenza di Dio nel popolo, segue la reazione gelosa dell’uomo che considera il dono di Dio un privilegio esclusivo, in forza del quale separarsi dagli altri. A questo punto di vista, intriso di superbia, Mosè risponde con una sensibilità che partecipa chiaramente della liberalità divina: “Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”. S’affaccia qui un criterio evangelico decisivo, che verrà ribadito – quanto alla stessa persona di Gesù – nel vangelo: mai essere geloso o invidioso della sovrabbondante generosità divina! Saper piuttosto apprezzare il dono di Dio, laddove si fa riconoscere, senza volerlo necessariamente imbrigliare nei nostri schemi precostituiti… se la grazia si manifesta, se il bene è palese, non vi è argomentazione che sia sufficiente a decostruirne la forza. Contra factum non valet argumentum

Così è, per quanto riguarda il Nuovo Testamento, della protesta di Giovanni, il quale sembra voler legare l’azione nel nome di Gesù alla sequela dei discepoli stessi, come se il Signore fosse una loro esclusiva o una proprietà da amministrare gelosamente. È Gesù stesso che ci insegna ad ampliare lo sguardo, ad essere accoglienti per comprendere la grandezza dell’azione dello Spirito Santo che – in modi molteplici e per vie misteriose – collega ogni uomo al mistero di Cristo: “chi non è contro di noi è per noi”. In altri termini, a meno che non si sia una contrapposizione esplicita e consapevole, ogni persona “di buona volontà” è in un certo modo assistita dalla grazia di Dio per camminare incontro a Cristo, per cui ogni qual volta dal nostro prossimo emerge un atto d’amore o un’azione che sia consonante col vangelo, rallegriamoci ed esultiamo, invece d’indagare sulle appartenenze. Il vero, il bello e il buono – chiunque lo promuova – viene dallo Spirito Santo! Non mettiamo precocemente limiti alla Provvidenza, ci priveremo dei più inaspettati motivi di gioia e di ringraziamento!

Se la prima parte della pericope tratta dal vangelo secondo Marco ci ha mostrato la forma della decisione, quanto al risplendere del dono del Signore negli altri, nei lontani (secondo una liberalità ed una sovrabbondanza che – per quanto tipica del Dio Unitrino – non smette di scandalizzare i più devoti tra i frequentatori delle nostre assemblee liturgiche), la seconda parte riguarda il rapporto con se stessi e ci invita a far nostra la modalità più radicale della decisione. Qui, davvero, de-cidere è re-cidere. Se seguire Gesù è scegliere la vita, per non venire sopraffatti dalla morte occorre che – con la sua Grazia – siamo in grado di liberarci di tutto ciò che ci è d’ostacolo nella sequela, foss’anche un nostro arto. Chi non acconsente a perdere una parte di sé, qualora gli fosse di ostacolo nella sequela, si orienta alla Geenna, luogo in cui originariamente s’immolavano i sacrifici a Moloch ed in seguito si bruciavano le immondizie. Come ricorda acutamente Silvano Fausti: “Chi non è disposto a essere mondato con la potatura, sacrifica se stesso all’idolo e butta via la propria vita come immondizia”. Chi o che cosa è l’idolo cui mi sto sacrificando, invece di seguire il Signore che si dona perché io abbia la vita vera? A chi o a che cosa chiedo quella felicità, che dubito il Signore possa darmi? L’essere di Cristo implica che la decisione raggiunga questa radicalità che fa tutt’uno con la liberalità della forma precedente. Forme dell’agire umano che si trovano realizzate pienamente in Gesù, il Figlio.