29 settembre 2019

Un rischio da cui difendersi: il tutto e di più su questa terra e il nulla per l’altra

Letture: Am 6,1.4-7; Sal 145; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31

Uno dei rischi che reca in sé la ricchezza è quello di portarci all’indifferenza nei confronti di chi è povero o si trova nell’indigenza (vangelo), indifferenza ed opulenza condannate con parole di fuoco dal profeta Amos (I lettura). Scrivendo a Timoteo, l’apostolo Paolo lo invita – e ci invita – a fuggire dalle vanità mondane e rivolgere lo sguardo verso i beni eterni (II lettura).

La tecnica della parabola consiste nel portare gli ascoltatori a identificarsi con un personaggio e a dedurre da questa identificazione tutte le conseguenze o apprenderne gli insegnamenti, come in quella odierna che tradizionalmente viene chiamata del “povero Lazzaro e dell’uomo ricco”.

Per scoprire il senso di una parabola è necessario sapere anche chi sono gli ascoltatori presenti nella narrazione: nel capitolo sedicesimo di Luca si legge la seguente annotazione: «I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si facevano beffe di lui» (16,14). Non tutti i farisei, ovviamente, perché la maggior parte erano poveri e generosi. Gesù attacca qui non tanto la ricchezza quanto l’orgoglio dei farisei che li portava a esaltare la propria vita spirituale con sufficienza religiosa. Ma torniamo alla parabola e al suo insegnamento. Notiamo, prima di tutto che in essa Dio non è mai citato: qual è il personaggio con il quale siamo invitati a identificarci? Certamente non l’uomo ricco e nemmenp Abramo. Sarebbe forse il povero Lazzaro? No. Il personaggio, o meglio, i personaggi più importanti di questa parabola sono i cinque fratelli dell’uomo ricco dei quali è detto: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». (16, 29). Questi cinque fratelli rappresentano tutti noi. Ma esaminiamo più da vicino i dettagli della narrazione. C’era un uomo ricco e un povero. Non è detto se si trattava di un buono o di un cattivo ricco o di un buono o cattivo povero. No, molto semplicemente il vangelo ci parla di un ricco molto ben vestito che prende parte a festini sontuosi e di un povero coperto di piaghe che non ha nulla da mangiare. Il povero avrebbe ben voluto mangiare le briciole che cadevano dalla tavola del ricco, ma non è detto se le avesse chieste né che gli venissero rifiutate. Questi due uomini vivono molto semplicemente l’uno a fianco dell’altro: essi si ignorano, senza cattiveria e senza gelosia. La sola nota di intimità la troviamo nel cane che viene a leccare le piaghe del povero. Il ricco non ha un nome, e può rappresentare così tutti coloro che si sono lasciati alienare dalle proprie ricchezze. Il povero ha un nome: Lazzaro e che significa “Dio soccorre”. C’è qui dell’ironia perché stando al racconto sembra che Dio non l’ha mai soccorso quaggiù. Quando tutti e due arrivano alla fine della vita i ruoli si invertono: il povero che giaceva per terra è portato dagli angeli nel seno di Abramo cioè in paradiso e il ricco, che quaggiù sulla terra riposava sopra divani elevati, è invece interrato o portato verso il basso: si è a tal punto legato alle realtà di quaggiù da restarvi incatenato anche dopo la morte. Sembra che questo ricco non fosse cattivo ma semplicemente un incosciente. Ora, nell’aldilà soffre terribilmente e poiché ha buona memoria e buon cuore vorrebbe risparmiare la stessa sorte ai suoi fratelli e prega Abramo: «Padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.

Come si diceva poco sopra, i cinque fratelli dell’uomo ricco sono l’immagine di ciascuno di noi. E noi non abbiamo soltanto Mosé e i profeti ma anche il messaggio di Gesù e del suo vangelo e anche ai nostri giorni esistono uomini che vivono in un fasto simile a quello dell’uomo ricco e ce ne sono moltissimi altri che vivono in una miseria simile a quella di Lazzaro; come ai tempi di Gesù, dunque, anche nei nostri c’è un grande fossato tra i pochi ricchi e i tanti poveri. Dopo l’avanzata colossale su scala mondiale dell’economia neoliberale, questo fossato è venuto crescendo in modo esponenziale sia all’interno di ogni singolo paese sia fra i vari paesi e si stima che attualmente più di un miliardo di persone vivano al di sotto del livello assoluto della povertà, con meno di un dollaro al giorno. Davanti a questo dramma si può rischiare di essere incoscienti come il ricco del vangelo di oggi, o, al contrario, possiamo invece coscienti di tutte le ineguaglianze del sistema sociale nel quale viviamo e del quale spesso approfittiamo. San Giovanni Paolo II parlando dalla tribuna delle Nazioni Unite circa una trentina di anni fa citava proprio la parabola del vangelo odierno e concludeva il suo discorso affermando che era urgente tradurla in termini economici e politici, in termini di diritti umani e di relazione tra le società opulente e autosufficienti e quelle povere. Domandiamoci allora, a nostra volta, che cosa facciamo e che cosa possiamo fare per tradurla nella nostra vita di tutti i giorni.

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