22 SETTEMBRE 2019

Scegliere di chi essere servitori e chi avere come maestro

Letture: Am 8,4-7; Sal 112; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13

L’uso del denaro e delle ricchezze deve oltrepassare l’orizzonte puramente temporale e materiale per essere proiettato su quello del regno e dell’eternità. Il denaro è solo un mezzo e non un fine, da usare con larghezza nei confronti dei più poveri e con senso di giustizia e onestà (vangelo), valori questi ai quali invita anche il profeta Amos (I lettura), mentre Paolo (II lettura) ci ricorda che siamo tutti figli di uno stesso Padre e fratelli in Cristo Gesù che ci chiama alla santità.

Il brano evangelico di questa domenica fa parte di un insieme di racconti o di “detti” propri di Luca e che potremmo definire come una delle “conversazioni a tavola” di Gesù, occasionata probabilmente da qualche avvenimento recente intorno al quale si intrecciano commenti, riflessioni e interlocuzioni durante il pasto principale. Non ci troviamo davanti ad una vera e propria parabola. Nell’ascolto di una parabola, infatti, l’uditore (o il lettore) è chiamato identificarsi con uno degli protagonisti della storia, mentre il personaggio principale solitamente rappresenta Dio padre. Ma non è questo il caso: non è possibile identificare Dio padre con l’uomo ricco dell’inizio del racconto, in quanto nella dinamica narrativa esso serve soltanto ad assolvere il compito di personaggio chiave che dà inizio alla vicenda con l’introdurre l’amministratore disonesto al quale richiede l’adempimento dell’amministrazione dei beni che gli è stata affidata. Inoltre – come dicevamo poco sopra – non c’è nessun attante sul quale l’ascoltatore/lettore possa proiettare la propria esistenza per farne un esempio da imitare. Del tutto legittimo allora pensare che Gesù in questo racconto fa allusione a un avvenimento che era appena accaduto che tutti quanti conoscevano. Egli se ne serve come punto di partenza per offrire un insegnamento sull’attitudine corretta da avere nei confronti del denaro e dei beni di questo mondo e che si riassume in un modo davvero assertivo nell’ultima frase: «Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16, 13). E certamente non è un caso che Luca, che è un eccellente scrittore e che sceglie sempre in modo raffinato le sue parole, utilizzi qui il verbo “servire”.

Nell’insegnamento odierno Gesù oppone due mondi che hanno delle gerarchie di valore del tutto differenti. Il primo mondo è rappresentato da coloro che si rendono schiavi delle ricchezze e che si danno ad ogni tipo di affarismo, più o meno abile. Per tutti costoro ciò che conta è soltanto il guadagno. Inoltre la presenza di un uomo ricco ci avverte subito che costui non potrà rappresentare Dio padre perché è impensabile che nello spirito di Luca, per il quale l’insegnamento di Gesù sulla povertà è così decisamente importante, un benestante o un dovizioso possa simbolicamente richiamare esemplarmente l’immagine di Dio padre. Questo uomo ricco non ha dei servitori, ma piuttosto ha un amministratore dei suoi numerosi beni e quando apprende che il subalterno non assolve onestamente il compito affidatogli, allora lo licenzia su due piedi, semplicemente, come sempre accade nel mondo degli affari. Questo amministratore è tuttavia molto astuto e sa assicurare il suo avvenire attraverso le ultime transazioni, un po’ come un amministratore delegato di una grande azienda che ottiene milioni di euro o di dollari come compenso quando viene licenziato per cattiva amministrazione o per frode.

Si può qui apprezzare l’abilità di questa furberia come fa il capo di questo amministratore disonesto ma, evidentemente, Gesù non invita a fare lo stesso. Egli invita invece a fare tutto il contrario dispiacendosi che i figli del mondo delle tenebre siano più abili nel loro proprio mondo di quanto lo siano i figli della luce nel loro. Un messaggio quasi al contrario, dunque: se i figli di questo mondo sono così astuti nell’amministrazione dei beni terreni, ancora di più i figli del vangelo dovranno esserlo nel servizio del loro unico maestro.

Il denaro di cui noi possiamo disporre, e che rimane sempre un bene insidiante che rischia di farci sbagliare sulla corretta importanza da dare alle ricchezze di quaggiù, deve servirci non per comprarci degli amici – come si potrebbe comprendere da questo testo in modo superficiale -, ciò che non sarebbe altro, né più né meno, che una forma più nobile della corruzione, ma a farci degli amici nelle dimore eterne. Cioè vivere in tale modo che il nostro cuore sia già nelle dimore eterne, così che coloro che le abitano tuttora diventino ora nostri amici e che ci accoglieranno quando passeremo all’altra riva. La questione fondamentale non è se abbiamo molto denaro e se ne possediamo poco o per niente, ma piuttosto: dov’è il nostro cuore? E chi è il nostro maestro? Noi possiamo essere schiavi delle cose materiali anche se ne possediamo molto, ma molto poco. D’altra parte se siamo in verità servitori di Dio e di suo figlio Gesù Cristo, ci faremo, coinvolti dal suo esempio, servitori di tutti i nostri fratelli a prescindere dal fatto che le nostre ricchezze o il nostro denaro siano più o meno consistenti. Non si può servire simultaneamente Dio e il denaro, o meglio ancora, nel rispetto del testo greco di Luca, non si può servire allo stesso tempo Dio e “Mammona”. Siamo vocati a fare una scelta, ossia a optare di chi vogliamo essere “servitori” e chi vogliamo avere come maestro.

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