La sapienza si è costruita la sua casa

19 agosto 2018

LETTURE: Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

L’appello alla conoscenza e la meraviglia per il dono dell’eucarestia sono i temi centrali che emergono nelle letture di questa XX domenica del tempo ordinario. Il dono del pane di vita non può lasciare indifferente il credente, la cui fede in travaglio è però scandita dal ritmo della paura che genera l’incredulità. Di qui l’appello per considerare la grandezza della salvezza ottenuta per mezzo del pane disceso del cielo, e il racconto della salvezza descritta nel linguaggio tipico della letteratura sapienziale che la ridefinisce come “saggezza” e “sapienza” che costruisce la casa, l’edificio spirituale che è la persona nella dimensione eterna.

Il libro dei Proverbi attinge dalla parte finale del Primo Testamento, all’interno di quella meravigliosa letteratura biblica definita “sapienziale”, che è capace di descrivere i grandi temi della salvezza attraverso poche battute, con racconti edificanti e sintetici aforismi. Questa letteratura rappresenta l’esperienza più matura dell’incontro tra i contenuti dei commentari rabbinici e la dominante filosofia greca, incontro che è avvenuto in molte comunità ebraiche della diaspora, come, ad esempio, ad Alessandria d’Egitto. Il libro dei Proverbi è una descrizione sapienziale della storia d’Israele attraverso, appunto, piccoli proverbi, ciascuno dei quali esprime, però, grandi ed essenziali contenuti.

La prima immagine che ci viene data è proprio quello della casa, che ispirerà una delle parabole di Gesù sulla necessaria solidità della fede, quella “casa” che non può rimanere costruita sulla sabbia, ma necessita di affondare le fondamenta nella roccia. Nella descrizione dei Proverbi è protagonista proprio la sapienza, che come un abile capomastro intaglia le “sette colonne”, simbolo della totalità e della compiutezza dell’edificio. La colonna richiama anche alla casa di culto, che è il tempio, per sottolineare come l’edificio sia quello spirituale, dove ha luogo l’incontro con Dio. Questa straordinaria ed efficace immagine è descritta in due righe, dove la sintesi letteraria palesa al tempo stesso la grandezza della fede e il ruolo della sapienza, che accresce la salvezza del credente non tanto attraverso l’erudizione e la saccenteria, ma con la semplicità di una vita donata a Dio, in cui ci si preoccupa di costruire “intagliando le colonne”, quindi accrescendo la fede.

La seconda immagine dei Proverbi richiama quel tradizionale banchetto che è l’immagine della vita eterna nel Primo Testamento, sintesi di gioia e convivialità. Anche in questa similitudine si esprime l’importanza della preparazione al banchetto, piuttosto che sviluppare l’immagine della sua consumazione. Così è necessario “uccidere il bestiame”, richiamo quanto mai evidente alla dimensione sacrificale che rimanda al pane disceso dal cielo, e “preparare il vino”, ulteriore allusione, che nella visione cristiana viene interpretata come segno prefigurativo della bevanda della salvezza per eccellenza, il sangue di Cristo. Questo breve proverbio termina con la descrizione che della “tavola imbandita”, visione conclusa e completa del banchetto di nozze tra l’uomo e Dio. E il richiamo a mangiare e bere per acquistare la saggezza viene ulteriormente ad arricchirsi con le fanciulle che raggiungono le alture per farsi ascoltare, dove proclamano di “abbandonare l’inesperienza” al fine di “vivere”. La salvezza espressa dal concetto di sapienza ha trovato forme descrittive argute e intriganti, con semplici riferimenti alla vita quotidiana.

L’immagine della tavola imbandita “apparecchia” il discorso di Gesù, dove l’insistenza espressa attorno al pane disceso dal cielo misura la necessità della consumazione. Se i Proverbi preparano il banchetto, il vangelo ne offre il senso più compiuto, dove “la carne per la vita del mondo” offre gli spazi dell’eterno. Il primo significato offerto dal pane di vita, in questa domenica, sottolinea la grandezza di essere con Cristo, nella comunione che ci rende presenti in lui e che ci permette di sentire Gesù in noi, in una dimensione totalizzante: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui”. L’accesso all’eucarestia è reso in tutta la sua forza dall’uso del sostantivo “carne” (ϭάρξ), dove il pane disceso dal cielo è completamente trasformato nel corpo di carne donato, secondo una logica di verità inequivocabile: “la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda”. Il secondo significato ci introduce alla dimensione escatologica offerta dall’eucarestia, dove il pane disceso dal cielo ritaglia la dimensione personale della salvezza nella nozione di risurrezione: “io lo resusciterò nell’ultimo giorno”. In questo ottavo ed ultimo giorno della sua esistenza la persona umana recupera il significato maggiore della sua esistenza e della sua vocazione.

La risposta piena di Gesù alla salvezza, ampiamente significata nel dono eucaristico, è, ad ogni modo, pervasa di tensione nel dialogo con i suoi interlocutori, che portano Gesù stesso ad esprimere il valore del pane disceso dal cielo con una risposta risonante un appello forte e intransigente alla fede. L’incredulità rimane il principale ostacolo alla realizzazione della salvezza, e sfocia nella domanda sarcastica e piena di acredine che viene rivolta in forma indiretta a Gesù: “Costui come può darci la sua carne da mangiare?” La forza della fede nel credente può essere evocata solo dalla presenza dello Spirito Santo, che Paolo chiede per i credenti della chiesa di Efeso, in una ricchissima seconda lettura che trova nello Spirito stesso il protagonista e l’animatore delle comunità cristiane, il datore dei doni e l’ispiratore della vita interiore e che produce “salmi, inni e canti spirituali”, nella gioia, nella consolazione e nella semplicità. Questa è la fede genuina e sagace, quella che ha in sé il dono della salvezza, e non invece la stoltezza di una vita priva di senno, che sfocia nel richiamo esilarante contro l’ubriacatura: “Non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé”. Il vino che è il sangue di Cristo, vera bevanda, è invece quel sorso che non inganna e offre la vita per sempre.