Un banchetto di convivialità 

25 luglio 2021

LETTURE: 2 Re 4, 42 -44; Sal 144; Ef 4, 1 -6; Gv 6, 1 – 15

La privazione del nutrimento necessario all’esistenza è una delle più grande offese alla dignità umana. Da sempre esistono carestie, eventi bellici o conseguenze delle crisi economiche che impediscono a determinate popoli di avere il necessario sostentamento per la propria esistenza. Immaginiamo di trovarci in questa situazione, di essere profughi in una via senza meta e senza più la possibilità di mangiare. Percepiamo il vuoto attorno a noi e abbiamo una sensazione di profonda negatività e di disperazione. Alla paura della morte si avvinghia il peggior morso dell’ingiustizia. Qualcuno porta il cibo ma è insufficiente a sfamare tutti: di chi sarà, dunque? Quali persone ne potranno usufruire? Dovremo combattere per dividerlo? Nella Sacra Scrittura il banchetto rappresenta compiutamente l’immagine di quel Regno dei Cieli che occupa centralmente la predicazione di Gesù. La gioia dello stare insieme, la convivialità dell’amicizia celebrata, in maniera particolare, nello stesso momento di dividere il pane, è uno delle sensazioni che maggiormente rendono felici gli uomini. 

In questo contesto, che capovolge inaspettatamente la tragedia della fame e dell’ingiustizia, si consuma il miracolo di un pane che viene moltiplicato, sì, ma per essere segno di una visione antropologica non limitata all’essere corpo, alla lettura di una mera dimensione fisica. Tanto la narrazione del secondo libro dei Re quanto quella del vangelo di Giovanni (il discorso del pane di vita) si inseriscono nella visione teologica che prepara alla consumazione eucarestia, il vero banchetto del Regno dei Cieli. Nella narrazione non conta lo sviluppo del miracolo in sé, che peraltro nel vangelo di Giovanni viene enucleato e compreso solo come segno, ma piuttosto si pone l’accento sullo stupore e sulla meraviglia di chi viene saziato, ristorato. In quel semplice gesto di donazione del pane si realizza molto di più: la gioia di essere capiti nel momento peggiore della vita, in cui tutte le certezze crollano, e la sensazione di comprendere quanto grande sia l’opera messianica di Cristo: non una salvezza limitata ad una parte della persona, ma tutta la persona in un mondo che accentra le relazioni e la convivialità come antidoto all’ingiustizia e alla miseria. 

Attorno a questo pane donato, immagine di quell’unico grande dono di se stesso, il Cristo offre agli uomini la possibilità di recuperare tutto il significato della propria dignità, in due diverse prospettive: 1. la possibilità di comprendere che Dio dona; 2. la necessità di sapere che gli uomini che si troveranno attorno a quel pane donato formano una comunità di persone chiamate a “donare” reciprocamente se stesse le une alle altre, per formare una nuova società, una assemblea di carità e di stupore, dove non domina l’ingiustizia ma la misericordia, dove il criterio di valutazione della realtà può diventare speranza se qualcuno per primo comincia a donarsi. Ancora una volta prevale il criterio biblico di capovolgimento della prospettiva attesa, dove l’agire divino è sempre diverso e non calcolato dalla logica umana. Il gesto di soddisfare un bisogno materiale essenziale come il nutrimento per l’autoconservazione diventa anche memoria dell’essere creatura umana dinanzi alla Provvidenza divina, la quale sottolinea come l’uomo debba trascendere l’egoismo della sola dimensione fisica. Se infatti ognuno vivrà solo per se stesso, il suo egoismo e la successiva ingiustizia lo trascinerà nella morte e nello spegnimento di ogni significato dell’esistenza. 

La grandezza della vocazione cristiana, che si manifesta nell’accentramento sulla misericordia, sulla carità reciproca e sulla condivisione, rappresenta il tema centrale della riflessione paolina raccolta nella lettera composta per la chiesa di Efeso, che è la seconda lettura di questa domenica. Vi è infatti “una sola speranza” a cui ciascun credente viene chiamato. Tale speranza, intrinsecamente legata al dono di Dio che riveste ciascun individuo con la vocazione, porta gli uomini a costruire quel mondo nuovo che Gesù lascia nei suoi gesti eucaristici. La vocazione è anche dono: dono di Dio all’uomo, rivestito della sua piena dignità, dono dell’uomo a Dio, che si rende consapevole della predilezione divina e dona la propria vita per l’amore di Dio. La comunione dei credenti non è, quindi, esclusivamente mediata dal cibo eucaristico, dal pane donato che salva, ma dal “solo Dio Padre di tutti”, la cui visibile riproducibilità è proprio data dal prossimo, essendo Egli “presente in tutti”.  Per questo il Cristo genera la comunione tra le persone, portandole al perfetto banchetto dove ognuno potrà realizzarsi nell’incontro e nello scambio vicendevole di amore. E solo in questo modo ogni persona potrà “completarsi” negli altri, rendendosi “dono” ed esclusiva prerogativa di felicità.

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