Chi mangia di questo pane vivrà in eterno

12 agosto 2018

LETTURE: 1 Re 19,4-8; Sal 33; Ef 4, 30-5, 2; Gv 6,41-51

Le letture di questa domenica offrono un importante approfondimento sul tema del pane di vita, completando la descrizione del capitolo sesto del vangelo di Giovanni. Nel contempo le letture operano una similitudine tra la necessità di compiere un cammino lungo e faticoso in questa esistenza, segnato nel primo libro dei Re dalla vicenda di Elia, e l’esortazione finale che Gesù offre, proprio nel tentativo di mettere in comunicazione il tema del pane di vita con il tema della risurrezione. Questa similitudine sottolinea il collegamento tra l’esistenza dell’uomo, stanca e finita, e la novità della vita nuova, la vita eterna, dove il “per sempre” supera il dramma di un percorso esistenziale segnato dalla sofferenza e dalla relativa incapacità di rivolgersi a Dio, sino a giungere alla mormorazione.

Elia è il profeta che ha il coraggio di reagire alla infedeltà e di richiamare il popolo agli impegni dell’alleanza. Leggendo i capitoli del libro dei Re, abbiamo la possibilità di fare l’incontro con un uomo segnato da una forza e da una passione straordinarie, che vengono descritte con la parola “zelo per JHWH”. La scelta di Dio compiuta nella totalità è la caratteristica delle sua vocazione, del suo comportamento, del significato dei suoi gesti, ed è la fonte del suo coraggio. Se seguiamo Elia nel suo cammino, faremo esperienza di come Dio sia forte in chi ha il coraggio di affrontare la vita costruendola su di Lui. Tuttavia, anche il cammino del profeta trova un apparente punto di non ritorno, dove la stanchezza e il fallimento conducono alla rassegnazione più completa. Dio è forte in Elia che predice la carestia per il paese, ma è soprattutto forte provvedendo a che il suo profeta non muoia di fame, ancora più forte quando sceglie di provvedere al suo profeta attraverso la capacità di condivisione di una donna povera. Elia fa l’esperienza di essere portato nella mano di Dio. Questo racconto ricorda che l’incontro tra l’uomo e Dio avviene spesso, e in maniera più determinante, proprio nelle circostanza avverse, dove tutto sembra perduto.

Ma vi può essere una diversa chiave di lettura di questo brano. L’incertezza che spesso accompagna le nostre azioni, che le rende spesso non incisive, nasce dalla debolezza della nostra esperienza di Dio. Quell’esperienza di Dio, che suppone il coraggio di sfidare Gezabele e di sfidare le varie forme di potere che minacciano la fedeltà a Dio: come il pensiero corrente, il modo comune di fare e di dire, lo stesso concetto di buon senso, i volti della schiavitù come si presentano nella nostra vita. Il pane di cui si nutre è richiamo prefigurativo al corpo di Cristo, ed assume un significato di chi sa riporre in Dio tutta ciò che appartiene alla fede: non solo le certezze, ma anche le fatiche, e soprattutto quel modo di leggere la realtà “in maniera confusa, come in uno specchio”, che non sottrae ad ogni modo il profeta dalla sua missione, e che dovrebbe rappresentare un esempio per il credente che continua a camminare verso Dio nonostante le incertezze del suo cammino.

In questo contesto di rivincita, dove si scorge il Signore che dà tutto ciò che serve nella vita umana e che risolleva da ogni caduta e da ogni debolezza, troviamo il completamento del “discorso del pane di vita”, dove il centro dell’attenzione non solo è dato dall’annuncio della vita eterna attraverso questo pane, perché “chi ne mangia non muoia ma abbia la vita eterna”, ma anche dall’incomprensione complessiva di tutto il discorso di Gesù, che cade nel pieno fraintendimento sino a trovare la reazione nefasta dei suoi interlocutori, segnata dal peccato spesso citato da papa Francesco: la mormorazione. Questa parola onomatopeica, che sottolinea il suono e le parole di chi, sottovoce, non accetta la realtà che vive e le persone che incontra, nasce nell’incomprensione del termine “pane disceso del cielo”. Gesù offre se stesso nel pane che è sostanza di vita eterna, ma la connaturalità del Figlio al Padre è inaccettabile per gli interlocutori di Gesù. Il suo “essere nel Padre”, il suo “farsi cibo” nel pane che richiama la manna del deserto, il suo “venire da Dio e aver visto il Padre” introducono la sua natura divina, l’essere Figlio di Dio. Ecco la mormorazione che ritiene Gesù inescusabile e lo introdurrà nella blasfemia che diventerà l’oggetto di accusa del suo processo. Il vangelo di Giovanni presenta il tema dell’eucarestia fonte di salvezza, ma segue anche lo schema di un processo verso Cristo che si celebra lentamente e gradualmente nell’incomprensione, nel fraintendimento, nel dialogo che diventa monologo, nella solitudine che diventa abbandono.

La splendida lettera che Paolo compone per la chiesa di Efeso, con importanti schemi esortativi, riporta i credenti in una corretta visione del messaggio cristiano, senza la paura di far convivere l’amore di Dio con l’asprezza di una realtà che stanca e sfinisce nella sofferenza, e trova conforto nello Spirito Santo come colui che conforta e illumina, che porta il credente a vivere di Dio e ad “essere segnato per il giorno della redenzione”. L’invito di Paolo è proprio quello di cogliere la pienezza di Cristo e di cancellare la mormorazione, di mettere da parte il “clamore” e la “maldicenza”, peccati che segnano la vita delle comunità cristiane sin dalle origini, dove il fratello è considerato un diverso per i differenti modi di interpretare la vita cristiana, secondo una logica mondana che non appartiene al credente di ogni era. Diversa è la strada da seguire: Paolo chiede di “camminare nella carità”, seguendo proprio l’esempio di Gesù. La misericordia diventa la regola di vita del credente, capace di guardare al mondo con lo sguardo amabile di Cristo, “che ha offerto se stesso per noi, in sacrificio di soave odore”. Proprio questa terminologia mistica, così audace e solenne, che richiama ai sacrifici antichi del culto israelitico, permette al credente di “respirare il profumo” della vita eterna nella fragranza di quel pane consegnato e offerto alla nostra umana responsabilità.