NEL CUORE DEL FIGLIO: LA GIOIA, L’UMILTÀ E L’ACCOGLIENZA

05 LUGLIO 2020

LETTURE: Zc 9,9-10; Sal 144; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30

La ripresa del Tempo Ordinario, dopo l’intensa serie di solennità che seguono al Tempo di Pasqua, ci dona uno dei passi evangelici più significativi quanto alla possibilità di contemplare il cuore di Gesù. Attraverso la narrazione di Matteo, la liturgia della Parola offre all’assemblea radunata per la Pasqua della settimana come una “finestra” sul sentire del Figlio nei confronti dei “piccoli” cui il Padre ha rivelato i segreti del Regno, così come nei confronti degli “affaticati e oppressi”. La comprensione del brano evangelico è preparata dalla prima lettura, in cui il profeta Zaccaria annuncia il tanto singolare quanto paradossale incontro tra la figlia di Sion e il suo umile re che avanza cavalcando un semplice asino. Alla manifestazione dei sentimenti del Figlio, fa eco l’insegnamento paolino sulla contrapposizione tra la carne e lo Spirito. Chi vuole vivere secondo lo Spirito, sottolinea la seconda lettura, è chiamato a rinunciare ai desideri della carne, ossia dell’egoismo fondamentale che abita l’uomo e lo allontana dalla vita in Cristo.

Nel contesto delle letture selezionate, la pagina tratta dal libro del profeta Zaccaria introduce alla recezione della pericope matteana che, da punti di vista diversi, ci mostra alcuni dei sentimenti che albergano nel cuore del Figlio. Tale funzione introduttiva risulta ancora più significativa perché costruita, fondamentalmente, su di un paradosso. Il paradosso spesso aiuta “spiazzare” le nostre attese, perché radicate in una visione delle cose eccessivamente umana, e ad aprirle alla prospettiva divina, senza poterla evidentemente dominare concettualmente. Questo cambiamento di prospettiva riguarda lo stile del re che la “figlia di Sion” attende: sarà forse un re potente che schiaccia i suoi nemici? No… il Signore, qui simboleggiato dalla figura del re, suscita il giubilo di Gerusalemme entrando da “giusto e vittorioso”, ma con tutta l’umiltà di chi accetta di cavalcare un asino, l’animale del lavoro quotidiano. Disarmato, toglierà le armi (il carro da guerra, il cavallo, l’arco); annuncerà la pace alle nazioni, dominando “da mare a mare”. Dio edificherà il suo regno di pace, attraverso vie che non sono quelle percorse nella storia dagli uomini; interverrà nella storia come una novità indeducibile e gioiosa. E l’evangelista Luca, ricordiamolo per inciso, riprenderà proprio questa profezia per descrivere l’ingresso di Gesù a Gerusalemme: è Lui, il re umile e vittorioso, fondamento della gioia di Sion (cf. Lc 19,35 ss.).

Una volta che la pagina profetica ha liberato il nostro immaginario dalle proiezioni e dalle attese connesse all’onnipotenza divina, se concepita indipendentemente dalla rivelazione che il Signore stesso fa di sé, il brano del Vangelo secondo Matteo ci accompagna nella conoscenza di alcuni importanti aspetti del cuore di Gesù, il Figlio. Il primo aspetto ci parla della gioia stessa di Gesù, che esulta lodando il Padre perché – nella sua piena libertà benevola (“perché così hai deciso nella tua benevolenza”) – ha scelto di rivelare il mistero della generazione intratrinitaria ai piccoli, ossia agli ultimi, a coloro che nulla possono da sé stessi davanti agli uomini. I piccoli hanno familiarità con la difficile arte di ricevere in dono qualcosa di inaspettato: non diffidano, ma accolgono nella speranza e – in questo modo – hanno fatto con la rivelazione che Dio è Padre e Figlio. Dotati di una “recettività” analoga a quella del Figlio, cui “tutto è stato dato dal Padre”, i piccoli hanno ricevuto quella rivelazione che è stata nascosta agli intelligenti e ai sapienti, i cui talenti – di per sé buoni e desiderabili – hanno forse qui costituito un motivo di resistenza all’inconcepibile disvelamento del Mistero: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo”. Per noi, non si tratta chiaramente di introdurre nuove discriminazioni all’interno della Chiesa, ma di vegliare sulla propria condizione di “piccolezza” evangelica, mostrandosi sempre aperti al dono che viene dal Padre. In quest’ottica si comprende anche meglio, probabilmente, l’invito di Gesù a tutti coloro che sono affaticati e oppressi dallo scorrere dei giorni. Seguendo Colui che è “mite e umile di cuore” – ossia contemplando il secondo aspetto del cuore del Figlio – facendo propria la legge d’amore che Gesù ha osservato ogni giorno della sua vita terrena, si troverà proprio in Lui stesso il ristoro spesso cercato disperatamente e mai trovato, perché cercato laddove non poteva trovarsi. La sequela è dolce e lieve, perché Lui è con noi; perché solo in Lui possiamo trovare pace, consolazione e forza per il cammino.

Lo Spirito di Dio che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi”, ci ricorda la Lettera ai Romani. Custodire in sé lo Spirito, significa allora accogliere il dono della vita del Figlio in noi e partecipare – contro ogni desiderio egoistico di superbia – a quella gioia e a quella mitezza ed umiltà di cuore propri di Gesù. Vivendo, per grazia, come figli, diverremo capaci di quell’accoglienza senza riserve che il Figlio ha mostrato nella propria vita soprattutto quanto ai piccoli, agli affaticati e agli oppressi.

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