Accogliere per vivere

28 giugno 2020

LETTURE: 2Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42

Decisivo e ricorrente nel mondo dischiuso dalla Bibbia, il tema dell’ospitalità viene sviluppato dalla prima lettura, tratta dal Secondo Libro dei Re, ed è ripreso da Gesù nella pericope del Vangelo secondo Matteo nella forma dell’accoglienza ricevuta in dono, nel contesto di un insegnamento rivolto ai discepoli. «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato»: la parola di Gesù risuona manifestando la realtà profonda del legame tra sé e i suoi discepoli. Il detto sull’accoglienza è preceduto da due detti di Gesù dedicati alla sequela, nella forma radicale che riguarda le dimensioni fondamentali della vita e della morte. Quest’ultima tematica richiama la riflessione paolina condotta sul senso del battesimo, che dischiude la qualità profonda del legame che unisce Gesù e coloro che vivono in Lui.

Confrontandoci con l’episodio narrato nella prima lettura, avvertiamo forse – al di là della sorpresa e della gioia per il lieto fine – una sensazione di smarrimento. Quante volte abbiamo omesso anche solo un gesto di ospitalità? Quante volte a fronte dell’incontro con l’altro, inaspettato sulla soglia della nostra vita, abbiamo chiuso la porta, invece di scegliere la via dell’accoglienza? Il rischio dell’ospitalità – che dice fiducia e dedizione, insieme ad un certo decentramento di sé a favore dell’altro – rimane un passo molto difficile da compiere. Eppure l’episodio di Eliseo e della facoltosa donna di Sunem ci assicura che un gesto di accoglienza compiuto per amore porta con sé una benedizione spesso insperata. Colei che, nonostante il suo dolore, non si è chiusa in un triste risentimento rifiutando di condividere con gli altri i propri beni ma ha ospitato Eliseo, l’uomo di Dio, ha ricevuto in modo inaspettato il dono della promessa di un figlio, ponendo fine alla sofferenza di anni. Non ha cercato di realizzare il suo desiderio a tutti i costi, dimenticando coloro che il Signore le poneva sul cammino. Non si è chiusa agli altri, in nome di una giustizia tradita. La donna di Sunem ha invece accolto il profeta, senza sperarne nulla. E proprio in forza di quell’ospitalità ha ricevuto la ricompensa del profeta che ha esaudito il suo desiderio più profondo.

La ripresa da parte di Gesù del rapporto tra ospitalità e ricompensa porta a compimento quanto prefigurato dall’episodio narrato nella prima lettura. Oggetto dell’accoglienza sono gli stessi discepoli, coloro che hanno anteposto Gesù stesso ad ogni altro affetto terreno, per quanto legittimo, e preso su di loro la propria croce per seguirlo. Accogliere uno dei discepoli in quanto discepoli, per quanto essi siano minimi all’interno dei rapporti sociali, ed aiutarli anche con un solo e semplice bicchiere d’acqua, significa accogliere Gesù e accogliere Gesù comporta l’accoglienza di Colui che lo ha mandato, ossia il Padre. Una volta che la vita del discepolo è unita, nella sequela, a quella di Gesù, aprirsi al discepolo significa disporsi all’accoglienza stessa di Gesù e, con Gesù, del Padre. così come pochi versetti prima, Gesù aveva detto «non siete voi a parlare, ma è lo spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,20). Si comprende anche l’armonia che c’è tra il gesto di dedizione e di fiducia proprio di chi pratica l’accoglienza e il senso del detto di Gesù: «Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà». Anche al discepolo è richiesta la medesima dedizione e fiducia nei confronti del Signore che lo precede sulla via che conduce al Padre: accettare il rischio di spendere la vita nel nome del Figlio, perdendola quanto all’esaudimento immediato dei propri desideri, significa custodirla nel nome di Colui che ne è all’origine e che solo può concederne la realizzazione.

La seconda lettura, tratta dalla lettera ai Romani, risponde alla domanda sul tipo e sulla qualità del legame che unisce il discepolo al suo Maestro e Signore, all’interno della prospettiva battesimale che caratterizza il discepolato post-pasquale all’interno della Chiesa. Il legame che unisce il cristiano al suo Signore, costituitosi nel Battesimo, consiste nella partecipazione alla sua morte – nell’essere morti con Lui e nell’esser stati con Lui sepolti – per vivere in novità di vita. Quella vita che è di Gesù e che Gesù ci ha donato senza riserve. Partecipando sacramentalmente al mistero pasquale del Figlio, il discepolo è costituito “figlio nel Figlio”, avendo ricevuto la vita nuova (non essendosi legato a quella mondana per fidarsi del Signore). Questa vita, la vita stessa di Gesù, essendo essenzialmente affidamento e dedizione anima la vita del discepolo, il quale può considerarsi così morto al peccato (frutto dell’amore disordinato di sé) e vivente per Dio, in Cristo Gesù.

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