La serie di conferenze intitolata Vite Vissute Pericolosamente e organizzata dal DOST-I (Dominican Study – Istanbul), centro di studio dei frati domenicani della chiesa di Sen Piyer a Istanbul, insieme all’Istituto Italiano di Cultura, sotto la sapiente regia della storica dell’arte Silvia Pedone, ha preso avvio lo scorso dicembre 2018, partendo dal monumento più celebre della città, la Santa Sofia, per poi proseguire nell’esplorazione di numerosi quartieri e aree urbane: dalla centrale Sultanahmet fino a Samatya, muovendosi attraverso la penisola in un percorso che ci ha portati a Balat  e fin nella lontana e moderna Istinye, o ancora sul versante asiatico presso l’antica Calcedonia (Kadiköy).

Il percorso che ci siamo lasciati alle spalle ci invita quindi a proseguire in questa passeggiata inedita sui percorsi dell’antica topografia della nostra città, per scoprire il legame con i santi e le sante (quelli storicamente esistiti e quelli leggendariamente legati ai luoghi o ai monumenti della città) a cui sono intitolate fondazioni imperiali e importanti monumenti della polis, in un dialogo tra architettura e storia, iconografia e filologia, arte, teologia e agiografia. Possiamo, così, “riascoltare” la voce di uomini e donne del passato attraverso l’immagine dei loro monumenti, nonché visualizzare la storia dei monumenti attraverso le testimonianze letterarie delle rocambolesche vite dei loro santi.

Abbiamo iniziato dal monumento della Santa Sofia (il 10 dicembre 2018), dove hanno risuonato le voci potenti ed eloquenti dei patriarchi, Giovanni Crisostomo in primis, ma anche Gregorio di Nazianzo e Fozio. Un insegnamento coraggioso, il loro, per cui hanno dovuto pagare personalmente con l’esilio dalla capitale. Poco importa, avrebbero potuto dire almeno retoricamente alcune delle figure su cui si è incentrata la conferenza, perché, come emerge dai carmi del Nazianzeno ricordati da Jean Paul Lieggi, patrologo della Facoltà Teologica della Puglia, nessuna parola è secondo la misura ineffabile di Dio, poiché, anche nel silenzio, egli conduce il suo popolo alla verità. Poco importa, possiamo dire ancora noi oggi perché l’eco delle parole di questi protagonisti della storia del monumento è rimasta impressa nei mosaici dei padri della Chiesa ancora parzialmente visibili nelle pareti tamponate del naos della Santa Sofia. Una “presenza” che nemmeno il tempo ha potuto cancellare e che è stata raccontata dettagliatamente da Andrea Paribeni, storico dell’arte presso l’Università ‘Carlo Bo’ di Urbino.

A Sant’Eufemia è stato dedicato il secondo appuntamento del nostro ciclo (16 gennaio 2019), con la conferenza di Engin Akyürek, archeologo e direttore del Center for Late Antique and Byzantine Studies (GABAM) della Università Koç, e di Gian Paolo Maggioni, studioso di letteratura e filologia latina medievale dell’Università del Molise. I due interventi ci hanno in qualche modo costretto a un vivace tour tra Calcedonia e il Mar Nero, per poi approdare a pochi passi da Santa Sofia, dove restano le tracce dell’edificio dedicato alla santa, che conserva le tracce del ciclo figurativo con le storie della sua vita. La leggendaria bellezza del primo ritratto calcedonese di Eufemia e il suo ancor più leggendario sepolcro miracoloso hanno ispirato la composizione, 100 anni dopo i fatti, di un fantasioso martirio che ha ispirato artisti tra Oriente e Occidente.

Il 20 febbraio è stata la volta di santa Teofano, l’imperatrice che «parlava sottovoce», come ha significativamente suggerito con il suo titolo evocativo Paolo Cesaretti, storico e filologo della civiltà bizantina, dell’Università di Bergamo. Nonostante l’appartenenza imperiale, Teofano fu una donna discreta, sposata a Leone VI, che però non l’amò mai. Trascurata dal marito, si dedicò alla pietas e all’ascesi, fuggendo dal palazzo imperiale e rifugiandosi nella chiesa di san Basso e della Theotokos per poi approdare nel monastero delle Blacherne. “Silenziosi” sono anche questi luoghi, in cui Teofano coltivò la sua devozione e di cui ormai è rimasto così poco, che solo l’orecchio attento dello storico può ancora sentir parlare.

Tutt’altro che nascosti, anzi assolutamente visibili, in cima alle loro colonne elevate, furono invece gli stiliti (fig. 6), di cui la filologa bizantinista Laura Franco e la storica dell’arte Silvia Pedone (Gallerie Nazionali d’Arte Antica di Roma, Università della Tuscia) ci hanno raccontato l’epopea ascetica. Innalzatisi su una colonna, ad immagine di una perpetua crocifissione, seppure protesi nell’animo e nel corpo verso il cielo, furono legati alla terra, coinvolti nelle vicende dell’epoca, come mediatori politici e difensori dell’ortodossia. Campione di queste vite in bilico tra cielo e terra, ascesi e politica, fu Daniele di Costantinopoli, discepolo del proto-stilita Simone il vecchio. Dove fosse la sua colonna non è certo, ma dai racconti della sua vita, dalle descrizioni dei monumenti eretti in suo ricordo, pare che si debba individuare sulle rive e le colline che delimitano il bel golfo di Istinye, l’antica Stenia.

Il 21 marzo, Emmanuel Albano, patrologo della Facoltà Teologica Pugliese, e Alessandro Taddei, storico dell’arte bizantina della Sapienza Università di Roma, hanno cercato di gettare un po’ di luce sui misteri che avvolgono i santi Carpo e Papilo. È possibile che il racconto del loro martirio sia frutto di un desiderio eccessivo ed eretico di sacrificio? Gli acta ad martyres di Carpo e Papilo portano, in effetti, i segni di un’ambiguità ancora difficile da chiarire in rapporto al modello normativo del martirio cristiano per eccellenza, e cioè quello di san Policarpo di Smirne. Il legame tra Policarpo, Carpo e Papilo è evocato anche dalla chiesa che si trova nei pressi di san Mena a Samatya. La sua prima dedicazione a Policarpo rende, infatti, l’identificazione con i due martiri quantomeno sospetta, in un intricato gioco di denominazioni intercambiabili spesso frutto dell’importanza che i santi assumevano in determinati momenti storici.

Il 10 aprile 2019, invece, si è parlato di Costantino e di sua madre Elena. A causa della una sfortunata assenza della professoressa Maria Tilde Bettetini, ha tenuto banco da solo Mauro della Valle, storico dell’arte dell’Università Statale di Milano. L’assenza, come emerge dalla relazione di della Valle, è anche la cifra dell’eredità iconografica del fondatore della città. Cosa è rimasto del ritratto di Costantino sulla porta del palazzo imperiale? E dov’è il labarum, l’insegna imperiale con il suo volto e la famosa croce in cui vinse sul ponte Milvio? E la grande statua che capeggiava la colonna Çemberlitaş? Persino le tre teste della colonna serpentina, che fu proprio l’imperatore a far porre al centro dell’ippodromo, sono state decapitate. Del suo sarcofago non è rimasto (forse) che un frammento e, al posto della basilica dei Santi Apostoli, voluta dallo stesso Costantino e in cui si trovava il suo mausoleo, troneggia la moschea del nuovo Costantino, Maometto II il Conquistatore. Non rimane che due segni iconografici di Costantino nella sua città: un ritratto nelle stanze private dell’antico patriarcato della Santa Sofia e il mosaico nel vestibolo su della stessa basilica, ma, ahimé, con il ruolo di comprimario al fianco del collega Giustianiano.

Maggio e giugno vedranno invece avvicendarsi sul palco del Teatro d’Italia altri quattro relatori: Manuela De Giorgi dell’Università del Salento e Roberto Rusconi, dell’Università Roma Tre, i quali parleranno della figura di san Giorgio (fig. 9) il 9 maggio, mentre Marina Falla (Università del Salento) e Vincenzo Lagioia (Università di Bologna) interverranno per scoprire le vicende e analizzare il celebre monumento dei Santi Sergio e Bacco (Küçük Ayasofya), posto lungo la linea di costa della penisola storica, al margine est dell’area del Grande Palazzo degli imperatori bizantini (fig. 10), il 12 giugno.

Dopo la pausa estiva, il ciclo riprenderà con due conferenze. Una sarà dedicata a santa Irene (fig. 11), il 3 ottobre – con i relatori Antonio Felle (Università degli studi di Bari) e Claudio Monge (Dost-I). Con l’ultima, dulcis in fundo, torneremo alla Santa Sofia con due comunicazioni sulla Sapienza Divina tenute da Gianni Festa (Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna) e Bissera Pentcheva (Stanford University).

Luca Refatti

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