Ascoltare un salmo intanto che lo si dice

Ascolta, la senti? È la voce degli angeli. Essi cantano: “Lodate, servi del Signore, / lodate il nome del Signore” (Sal 112,1). Perché lo fanno? Certamente è estasiante vivere in quella dimensione di lode. Ma non basta loro il canto del cielo, il loro canto eterno. Essi supplicano che il mondo stesso nella sua temporalità terrestre elevi il suo rispondente canto, che pronunci il nome benedetto di Dio: “Dal sorgere del sole al suo tramonto / sia lodato il nome del Signore” (Sal 112,3). Non si deve interrompere nemmeno per un istante il risuonare della parola: “Sia benedetto il nome del Signore, / ora e sempre” (Sal 112,2). E questo sapete perché? Perché anche loro, che sono “l’invidia e il desiderio dell’uomo” (Alda Merini), non sono sufficienti a sé stessi, e non basta loro vivere di luce. Hanno bisogno di qualcosa che solo noi, l’uomo santificato e il Dio fatto uomo, possiamo dare loro: la parola dell’amore che dona la vita. Da questa parola infatti furono creati e dalla permanenza di questa dipende fatalmente la loro esistenza: “Angeli, che avete bisogno del suono” (A. M.).

Sì, perché Dio è calato sulla terra, e nessuno è pari a lui tra gli angeli e gli dèi: “Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell’alto / e si china a guardare nei cieli e sulla terra?” (Sal 112,5-6). Solo questo Dio crea il mondo, tutti gli altri rimangono nel loro mondo di purissimi concetti. Solo il Dio che si fa uomo ha dato vita all’esistenza. Egli non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Adamo. E perché? Per poter liberare l’unica creatura capace di pentirsi: “O Signore che vigili sul cuore / come enorme gabbiano / e ne carpisci le chimere buie” (A. M.). Per questo discende e non smette in eterno di discendere, perché Egli è colui che discende. Che soddisfazione allora per Lui poter ricondurre a sanità colui che solo è capace di sbagliare per amore, e riportarlo alla sua vera identità, quella della sua anima inventata dalla fantasia inerrante di Dio: “O Amore, o Segno, fammi più vicina / all’equilibrio esatto del mio cuore; / fa’ che mi ridivori nel suo centro / e che sia portatrice del mio nome / come si regge un fiore sullo stelo!” (A. M.).

Una testimonianza vivida, ci riporta la parola: “Solleva l’indigente dalla polvere, / dall’immondizia rialza il povero, / per farlo sedere tra i principi, / tra i principi del suo popolo” (Sal 112,7-8). Come se chi parla conoscesse bene tanto il fondo toccato quanto la freschezza della mano di Dio che solleva e permette di rialzarsi: “Premere con la mano ritemprata / questo sasso mi è dolce / come a provare il fascino di Dio” (A. M.). È come se la voce ora non fosse più angelica, ma umana. Sembra di rivedere il cambiamento caldeggiare in un salotto conosciuto: “Fa abitare la sterile nella sua casa / quale madre gioiosa di figli” (Sal 112,9). Più ancora, sembra di rivedere il volto di questa madre, che recupera colui senza il quale la sua stessa identità di madre è ab origine nulla: “Rivedrò i lutti, ovali / miracolosi delle donne spente / nel mio dritto abbandono. / E il volto di Maria / risuonerà nelle sue note piene” (A. M.). È l’uomo privo della gloria di Dio e salvato gratuitamente, o è piuttosto colui che è sia pura intelligenza che uomo?

Probabilmente entrambe le cose. “Tutto, infatti, dice sant’Ambrogio, è stato compiuto per la tua risurrezione, o uomo“. Come un invito a cantare e a camminare, come un invito a rinascere ogni giorno dall’alto, come un invito a fare l’unica cosa che dà vita agli attimi diversi: “Per cadenzare armonico il mio passo / sopra la sabbia, vale ch’io risorga” (Alda Merini).

fra Stefano Prina