Non c’è, credo, un unico modo in cui i domenicani si pongano davanti alla Bibbia. Come diversi sono i modi in cui ciascun frate può incarnare il carisma domenicano, così diversi (e perciò più arricchenti) sono i modi in cui si può confrontare con la Sacra Scrittura. Io vorrei così, semplicemente, raccontare brevemente qual è la mia esperienza di giovane domenicano studioso della Sacra Scrittura, arrivato ormai verso la fine del secondo anno di Licenza al Pontificio Istituto Biblico in Roma. Per me lo studio della Bibbia è la ricerca della verità e del significato che questo Libro, vecchio ormai di duemila anni ma sempre così attuale, vuole comunicarci. E ciò attraverso un’indagine scientifica e razionale del testo e di tutto ciò che afferisce ad esso.
Il mio primo incontro ravvicinato con gli studi biblici è avvenuto all’inizio degli studi specialistici, quando ho trascorso un anno all’Ecole Biblique di Gerusalemme. Dicono che le prime esperienze, in qualsiasi campo, possono segnare in modo decisivo il nostro cammino, e per me è stato così. All’Ecole ho imparato ad apprezzare il valore della conoscenza archeologica, epigrafica, storico-geografica, linguistica, per lo studio della Sacra Scrittura, e questo interesse e orientamento mi sta guidando anche ora che sono a Roma. Ho imparato in questi anni ad accostarmi alla Bibbia con umiltà e rispetto, come “uditore” della Parola di Dio, piuttosto che come possessore o giudice di essa. A volte dico che noi esegeti rischiamo di essere “chirurghi” della Parola, dividendola in elementi sempre più piccoli fino a diluirne e perderne completamente il senso e il valore.
Ho deciso di specializzarmi nell’Antico Testamento: ciò che è più antico è anche più misterioso e affascinante… Ciò che mi affascina di più nello studio dell’Antico Testamento è in effetti il vedere come il popolo di Israele sia stato in fondo così uguale agli altri popoli del Vicino Oriente antico che lo circondavano: stesse istituzioni, stessa ideologia, stessi elementi culturali, a volte stessi errori…, eppure Dio si sia servito proprio di tutto ciò (e qui parla il credente più che l’esegeta) per rivelarci il suo messaggio di salvezza. Allora non ci deve scandalizzare se nella Bibbia troviamo tradizioni quasi-leggendarie, o storicamente inesatte, azioni immorali, o visioni ideologiche che oggi non accettiamo più: sappiamo apprezzare piuttosto la grandezza di Dio, che ha saputo servirsi persino di quanto può esserci di erroneo e peccaminoso nell’uomo per realizzare il suo disegno di amore per noi.
Se non terremo presente questo, sarà sempre incombente il pericolo del fondamentalismo, da cui neppure i cristiani sono immuni, quando pensano di poter dare un’interpretazione a-storica della Scrittura, che non tenga conto della sua dimensione profondamente umana. Se abdichiamo a usare la nostra ragione nello studio della Bibbia, anche la nostra fede non ne riceverà che danni.
Oggi si cerca di trovare un filo rosso che leghi i due Testamenti e tutte le parti della Scrittura: penso che esso non possa che essere il grande mistero dell’Incarnazione, cioè di un Dio che è così condiscendente verso l’uomo da non avere paura di scendere, lungo tutta la storia umana, fino all’ideologia e alla violenza, per scrivere anche attraverso di ciò il più bel Libro che l’umanità abbia ricevuto in dono.
fr. Fabio Pari