Dal mio arrivo a İstanbul è’ già trascorso un anno, volato in un battibaleno. Ora è il tempo dei primi bilanci, che vorrei condividere con voi.

L’attività apostolica dei domenicani istanbulioti è decisamente atipica rispetto alle attività che tradizionalmente impegnano un frate. La comunità levantina (e quindi cattolica romana) che abitava la nostra parrocchia, un tempo fiorente, è gradualmente scomparsa: chi è traslocato verso altri, lontani quartieri della città, chi è emigrato, tornando in Europa o si è spinto fino all’America o all’Australia, chi, semplicemente, ha perso la fede o ha abbandonato la pratica religiosa. Con i fedeli è scomparsa anche la pratica sacramentaria: messe poco frequentate, poche confessioni, pochi battesimi, pochissimi matrimoni, qualche funerale. Nasce cosi l’impressione che in Turchia non ci sia nulla da fare. İnvece, c’è molto altro da fare.

Uno degli aspetti più entusiasmanti della mia esperienza sul Bosforo è il poter essere testimone della nascita di una chiesa turca. İ frati predicatori sono arrivati qua all’indomani della fondazione dell’Ordine, ormai 800 anni fa. All’inizio si dedicarono al difficile compito di riportare la chiesa costantinopolitana in seno a quella cattolica. All’arrivo delle truppe ottomane, 200 anni dopo, s’impegnarono nella cura pastorale dei levantini, commercianti, operai, diplomatici, provenienti dall’Europa occidentale e stabilitisi sul lato settentrionale del Corno d’Oro. Mai, però, i religiosi in Turchia s’interessarono al mondo turco. Ore le cose stanno lentamente cambiando: chi arriva si sforza di imparare la lingua e di pregare in turco, ogni anno c’è qualcuno che chiede il battesimo e in ogni parrocchia ci sono dei catecumeni (da noi ci pensa fra Claudio). Le sfide per far crescere la chiesa turca sono enormi: bisogna fare delle nuove
traduzioni dei libri sacri e liturgici e completare quelle già esistenti, sviluppare un senso di comunità, pensare a una teologia che prenda le mosse dagli interrogativi di questo popolo, etc. Noi desideriamo offrire alla chiesa nascente un contributo il più possibile domenicano e, quindi, ci stiamo impegnando a proporre delle piccole conferenze e dei percorsi di lectio divina che possano aiutare la maturazione spirituale dei cristiani di Turchia, senza dimenticare di sostenere, come possiamo, tutto il clero diocesano. E ovviamente abbiamo la speranza che la nostra biblioteca diventi sempre più facilmente accessibile.

Accanto all’emozione di vedere nascere e crescere qualcosa di nuovo secondo il disegno di Dio, c’è anche la bellezza e la responsabilità di entrare in dialogo con tutti i musulmani e i non credenti, che però sono incuriositi dal fatto cristiano. Frequentemente bussano al convento studenti e ricercatori interessati all’arte, alla storia e alla spiritualità cristiana. Ma continuiamo a essere fedeli all’impegno di tenere aperta la nostra chiesa garantendo la nostra presenza per accogliere coloro che non si accontentano di una sbirciatina, ma vogliono capire quello che vedono e chi hanno di fronte. Noi ci sforziamo, secondo la povertà delle nostre conoscenze linguistiche, di rispondere ai loro interrogativi. Spesso si tratta di cose facili (come pregate? Perché c’è una tavola in chiesa?), altre volte ci chiedono del rapporto tra Gesù e Mohammed oppure cercano di capire concetti difficili come la Trinità o le due nature di Cristo. A volte, desiderano comunicarci la bellezza della loro fede e, quindi, poco a poco, anche per noi si apre una finestra sull’Islam e sull’esperienza religiosa dei musulmani. Alcuni ritornano per continuare il dialogo. L’esperienza diretta e immediata del dialogo con altri credenti e altre fedi ci mostra i limiti della nostra comunicazione. Non si tratta solo della povertà linguistica di chi non conosce le parole, ma anche della povertà concettuale di chi non sa come spiegare idee che aveva sempre date per scontate. Come dire cos’è l’eucarestia? Come tradurre la parola “natura”? Questa è la sfida della traduzione dei concetti caratteristici della nostra cultura e della nostra fede in una cultura a cui sono sconosciuti. Per rispondere a questa sfida, cerchiamo di riflettere molto insieme e di avvalerci delle risorse di quei turchi che sono andati alla scoperta della nostra cultura e della nostra fede.

Le difficoltà non mancano. La prima, ovvia, è imparare una lingua ostica, dalla sintassi ostile ai madrelingua indoeuropei e in cui ogni parola va mandata a memoria. La seconda è la cura della casa, un edificio enorme che richiede costanti interventi: un giorno è il tetto che perde, un altro sono le giunture dei tubi a essere marcite, crepe, umidità, polvere, il tempo che passa e sbriciola filtri, motori, cavi, mattoni. Se il lavoro dei confratelli che ci hanno preceduto è stato quello di preparare il terreno, dissodarlo, piantare pali e recinti, ora sembra arrivato il tempo della semina. Ma è Dio che fa crescere e noi attendiamo con curiosità di scoprire cosa crescerà.

fra Luca Refatti