Questo motto di Antonio da Padova ben delinea lo spirito di ciò che racchiude il Giubileo degli 800 anni di vita dei Domenicani a Vercelli. Una sera semplice e singolare: un rosario, una meditazione dettata da padre Domenico Marsaglia o.p. e un “cammino celebrativo” all’interno della Chiesa di san Cristoforo, sede dei domenicani fin dall’inizio del ‘900. Però, veritieri di storia cronologica, la presenza  domenicana a Vercelli risale alla fine del XIII secolo.

Che cosa è emerso: la sintonia con il Giubileo straordinario della Misericordia, memori del dire nel vangelo di Matteo: Misericordia io voglio, non sacrifici (Mt 9,13). Voglio l’amore e non il sacrificio. Misericordia è un contraccambio di bene da esercitare verso i fratelli, dopo un profondo silenzio interiore ed una viva preghiera.

Quando in una parrocchia un parroco succede ad un altro, nella linea della carità-verità deve emergere la storia, la testimonianza di un operare prima di se stesso. La nostra Chiesa, come tutte le Chiese, è parte del grande mosaico che dà vita sempre alla Chiesa universale e che al termine dell’ultima tessera inserita, presenta il Cristo di Dio, ieri oggi e sempre. Il nostro auspicio è  stato quello di aiutare i fedeli a compiere un pur piccolo passo sulla via di una maggiore comprensione di quale sia “l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità del mistero di Cristo”, attraverso San Domenico e i suoi frati. Nulla più!

La festa della Madonna del Rosario 2016 è stata la cornice dell’evento e dentro a questa ricorrenza la comunità parrocchiale di San Cristoforo, con la partecipazione dell’Arcivescovo diocesano mons. Marco Arnolfo, ha sentito il bisogno, grata a Dio, di intrecciare nella preghiera il Magnificat per i tanti doni ricevuti dai frati domenicani: generosi testimoni di misericordia. Maria si pone «in mezzo», tra suo Figlio e gli uomini, nella realtà delle loro indigenze e sofferenze. Si fa mediatrice non come un’estranea, ma nella sua posizione di madre, consapevole che come tale può – anzi «ha il diritto» – di far presente al Figlio i bisogni degli uomini (cfr. Redemptoris Mater). Se l’iconografia  pittorica ci fa deporre lo sguardo sulla Vergine che dona la “corona del rosario” a san Domenico e santa Caterina, quasi a rendere con l’immagine l’antico detto: “chi prega si salva” , la corona avvolta dai misteri della vita di Cristo ci aiuta a vivere la gioia, il dolore, la gloria, indi la luce! Il Giubileo domenicano avvolto e intriso di misericordia allora è un viaggio andata e ritorno…una misericordia ricevuta, una misericordia donata.

Il “cammino celebrativo” all’interno della Chiesa parrocchiale di san Cristoforo

Nomi e persone, cose,  segnano la storia domenicana a Vercelli che oggi non c’è più, peccato! Allora ecco nel cammino museale: l’abito dei frati domenicani, non una esteriorità da sartoria, ma in una società così secolarizzata, nella quale i segni si sono tanto rarefatti, ha più che mai bisogno di “vedere” gli uomini del sacro. E se resta vero che “l’abito non fa il monaco”, qualcuno opportunamente ebbe a dire che, però, “un buon monaco ama il suo abito”. Ciò che si indossa è il primo “linguaggio” con cui si dice ciò che si è.

Qualche passo più in là una pianta di ulivo con appeso il nome dei parroci degli ultimi 100 anni qui, a San Cristoforo. Perché? Saper passare dalla memoria alla profezia! La vocazione è testimonianza.

Segue ancora una sede per il Sacramento del perdono: con un biglietto d’elogio. Quanta grazia  di Dio dispensata nei Confessionali.

Nell’altra navata, una cariola con una cassetta di pronto soccorso. Una bella storia di carità del domenicano padre Barnaba Pivano, squisito buon Samaritano. Nel pomeriggio del 26 aprile 1945 tornando dal cimitero, dopo una sepoltura, incappa in un giovane soldato tedesco, appena ferito da un’arma da fuoco. Lo soccorre, lo cura, gli versa olio e vino donandogli l’Estrema unzione e lo porta all’ospedale S. Andrea, qui in città. Dopo un mese un giorno torna in convento pestato da qualcuno  – di cui non rivelerà mai l’identità – portando nel cuore gli insulti di “fascista”, amico dei tedeschi. Guarisce dal pestaggio e il suo cuore perdona.

Più in là l’antico stendardo che riporta i misteri del Rosario con la dicitura “Rosarianti”. Se la gloria di Dio è l’uomo vivente, come non memorare il nuovo beato Giuseppe Girotti? Un carboncino del suo volto… e un cuscino con una scritta dei suoi compagni, come avvenne nella baracca a Dachau , quella mattina di Pasqua: qui dormiva san Giuseppe Girotti . Ieri come oggi il bene fa ancora notizia: rompe il buio delle tenebre.

Da ultimo il quadro del beato Giovanni da Vercelli – Giovanni Garbella – con la reliquia del suo bastone. Maestro generale dell’Ordine dei Predicatori, si distinse per diciannove anni, mantenendolo nel suo splendore e consolidando l’opera dei suoi predecessori. Il bastone offre una lettura finale: “alzati e cammina!” Riprendere il viaggio, poiché un Giubileo è una sosta riposante e rinfrescante…

Potrebbe sembrare eccessivamente facile dire: RIPARTIRE DA QUI. Però l’assoluta verità è che il domani è ancora nelle sue mani. Ciò per cui è doveroso magnificare, è la fedeltà del Signore che ha saputo fare della pochezza umana uno strumento prezioso nelle sue mani per l’annuncio del vangelo.

Che cosa succederà al ripartire? Non cesserà la fedeltà del Signore così da affrontare il futuro con speranza, sapendo che Dio rinnova sempre tutto… e non toglie.

Ecclesiocentrismo? No. La Chiesa è di Gesù, senza di lui sarebbe solo una cosa terrena, mentre per la fede essa è il Corpo del Signore.  La Chiesa, quella vera, non può esistere senza il suo Signore ed ora anche Cristo non può essere totale senza la sua Chiesa. Se i Santi hanno portato frutti abbondanti è perché, con la loro vita e la loro missione, parlano con il linguaggio del cuore, che non conosce barriere ed è comprensibile a tutti (Francesco, 4 agosto 2016).

Mons. Sergio Salvini, parroco di San Cristoforo in Vercelli