Venerdì 26 gennaio, nel corso di un udienza concessa al cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le cause dei santi, il papa Francesco ha autorizzato la promulgazione dei decreti di beatificazione di Monsignor Pierre Claverie, domenicano, e di altri diciotto martiri assassinati in Algeria tra il 1994 e il 1996.

Mons. Claverie , assassinato il primo agosto del 1996, è stato l’ultima delle diciannove vittime della chiesa d’Algeria, morti nel “decennio nero” che è costato la vita a più di 150.000 Algerini. Questa beatificazione ha un potente significato.

Una vita per incontrare gli altri

Pierre Claverie ha passato la sua vita a cercare di incontrare l’altro che aveva ignorato nella sua giovinezza. “Noi non eravamo razzisti, soltanto indifferenti, ignoravamo la maggioranza degli abitanti di questo paese… Ho potuto vivere ventotto anni in quella che io adesso chiamo una “bolla coloniale”, senza neanche vedere gli altri”. Così egli scrive con lucidità, ricordando la sua giovinezza nell’Algeria coloniale in cui era nato. Tutta la sua vita è stata poi consacrata a ricucire questo primo incontro mancato, tutta la sua vita è stata abitata da una sincera passione per l’altro. Nell’universo cosmopolita e mondializzato che ormai è il nostro, questa sfida dell’incontro è più attuale che mai. Mentre la mondializzazione dell’economia e i social network hanno avvicinato gli uomini, delle identità mortifere si riaffacciano, delle barriere si alzano nuovamente fra i popoli e sembra che il progresso del dopoguerra regredisca. Pierre Claverie ci dice di nuovo la felicità che ci può essere nell’incontro con l’altro, con il diverso. È un messaggio forte per di paesi tentati dal ripiegamento su se stessi, mentre i migranti bussano alla porta.

Anche l’islamico è un fratello in umanità

L’altro che ci fa paura è oggi per lo più il Musulmano. Ci sono delle ragioni oggettive per questo: il crescere di un Islam politicizzato, gli orrori di Al Qaeda e dell’Isis, la sofferenza dei Cristiani d’Oriente, il peso dei luoghi comuni diffusi dai media, Ma la paura dell’islamico è sovente irrazionale e viscerale e impedisce un incontro reale. La chiesa d’Algeria ha dovuto fare un’autentica conversione dopo l’indipendenza politica del paese nel 1962. Se la sua presenza non era gran che giustificato per l’esiguo numero dei fedeli, essa ha voluto comunque mettersi al servizio del popolo algerino e diventare una chiesa dell’incontro. Mons. Henri Tessier, già arcivescovo di Algeri, amico intimo e confidente di Pierre Claverie, l’ha addirittura chiamata “una chiesa per un popolo musulmano”. “La parola d’ordine della mia fede oggi è il dialogo; non per una tattica opportunista, ma perché il dialogo è costitutivo della relazione di Dio con gli uomini e degli uomini tra di loro”, scrive Pierre Claverie, che aveva orrore del dialogo superficiale e di convenienza. Il vero dialogo, ai suoi occhi, è esigente, presuppone di riconoscere l’alterità dell’altro e di volere arricchirsi delle differenze. La passione della sua vita è stata quella di scoprire che il suo prossimo algerino e musulmano poteva insegnargli molto, anche riguardo alla ricerca di Dio. Senza sincretismi, senza facili unanimismi.

Il gusto per l’amicizia e per un’umanità plurale, non esclusiva

Mediterraneo d’origine, Pierre Claverie aveva un temperamento caloroso che gli ha permesso di nutrire delle belle amicizie. Imparando la lingua araba ha soprattutto cercato di “imparare l’Algeria”, a vibrare e a sentire come i suoi amici algerini. Lo ha fatto con passione nei tempi del dopo-indipendenza dove in questo paese c’era tutto da costruire. Ci ha messo tutte le sue qualità e tutto il suo cuore, impegnandosi in progetti di solidarietà e di sviluppo. Ma lo ha fatto anche nelle ore buie, quando la violenza si è abbattuta sul paese, uccidendo tutti quelli che, come diceva lui, avevano il gusto per “un’umanità plurale, non esclusiva”, per un’Algeria dove la diversità è percepita come una ricchezza e non come una minaccia. Rifiutando la prudenza e la riservatezza che i suoi amici gli consigliavano, Pierre Claverie ha espresso pubblicamente la sua solidarietà con gli Algerini e le Algerine, scrittori, artisti, intellettuali, che lottavano per un’Algeria aperta e plurale. Il destino delle donne algerine gli stava particolarmente a cuore. L’ha pagato con la sua vita. Questa beatificazione non è un modo per mettere da una parte le vittime cristiane di un dramma che ha fatto decine di migliaia di morti: al contrario, deve piuttosto essere, come ha detto mons. Jean-Paul Vesco, successore di Claverie come vescovo di Orano, un’occasione per celebrare la fedeltà di una chiesa che ha voluto rimanere solidale nel tempo della prova e pertanto un’occasione per celebrare l’amicizia con gli Algerini.

Una vita offerta per amore

Il senso di questa testimonianza deve essere chiaro: I diciannove martire della chiesa d’Algeria non vengono beatificati perché sono stati assassinati, ma in primo luogo perché hanno scelto, nell’ora del pericolo, di restare in tutta libertà e coscienza e malgrado i rischi, “a fianco dell’amico malato, stringendogli la mano, asciugandogli la fronte”, come scriveva Claverie dopo la morte dei monaci trappisti di Tibhirine. È la testimonianza di amore per Cristo, per la chiesa e per il popolo algerino che essi hanno dato che la chiesa oggi vuol riconoscere, celebrare e portare a esempio alla chiesa universale, dove tutti quelli che sono in cammino hanno bisogno di figure che indichino la strada.

Delle figure per il nostro tempo

Beatificare insieme questi diciannove testimoni della fede e dell’amore è una cosa ricca di senso profondo. Pierre Claverie, Christian de Chergé, fra Christophe hanno scritto molto sul senso della loro vita donata. La maggior parte degli altri, soprattutto i religiosi, hanno vissuto la loro testimonianza nella discrezione e nell’umiltà, ma è assolutamente la stessa testimonianza che ci viene offerta. La chiesa ci offre come esempi degli uomini e delle donne che possiamo sentire vicini. Sono delle figure di santità per il nostro tempo

È una grazia per tutta la chiesa. Ci auguriamo che l’Algeria sia così incoraggiata nel suo cammino di guarigione e di riconciliazione.

Dati biografici

Pierre Claverie nasce a Bab-el-Qued, nell’Algeria coloniale, nel 1938. La sua famiglia risiedeva nel paese da cinque generazioni. Nel 1958, in piena “battaglia d’Algeri”, parte per la Francia per intraprendere gli studi universitari e prende coscienza di essere fino ad allora vissuto in una “bolla coloniale”, ignorando l’altro, algerino e musulmano, visto solo attraverso degli stereotipi. Un intenso travaglio interiore lo conduce alla vita religiosa nell’Ordine domenicano.

Terminati gli studi di filosofia e di teologia, nel luglio del 1967 ritorna in Algeria e finalmente scopre il “suo” paese. Impara l’arabo e si lancia con passione nella scoperta di un paese da poco indipendente e si fa numerosi amici algerini. Nel corso di quindici anni è, con mons. Tessier, uno dei più stretti collaboratori del cardinal Duval, arcivescovo di Algeri, che aveva capito cha la nuova missione della chiesa in Algeria era quella di essere non una chiesa per il personale diplomatico straniero né tanto meno un rimasuglio del passato, ma piuttosto di essere una chiesa per l’Algeria, una chiesa algerina. La sua missione non è quella di convertire i musulmani ma invece quella di accompagnare un paese in ricostruzione e di vivere con gli Algerini l’avventura dell’incontro e dell’amicizia.

La sua lucidità di analisi delle situazioni e la sua profondità spirituale gli valgono di essere scelto, il 5 giugno 1981, come vescovo di Orano, una piccola diocesi per il numero di fedeli cristiani ma ricca di nazionalità e che vive in profonda armonia con la società algerina. Quando la violenza si abbatte sul paese, Pierre Claverie sceglie di mettere le strutture della sua diocesi ancor di più al servizio dei bisogni della popolazione algerina.

In quest’epoca di violenza, siamo negli anni ’90, sceglie di far sentire la sua voce, solidale con i suoi amici algerini – intellettuali, artisti, donne – che militano per un’Algeria aperta, non escludente. La sua esperienza personale gli permette di parlare eloquentemente del senso dell’incontro e dell’amicizia. Nella primavera del 1996 pubblica Lettere e messaggi d’Algeria. La sua parola coraggiosa va al di là delle frontiere e fa sì che sia assassinato il 1° agosto 1996, qualche settimana dopo i monaci trappisti di Tibhirine, adesso beatificati insieme a lui. Ai suoi funerali, la popolazione di Orano è venuta in massa a piange il “suo” vescovo.

Il desiderio della chiesa d’Algeria è che questa beatificazione evidenzi l’amicizia che questi testimoni della fede hanno voluto vivere con i loro amici Algerini

fra J.-J. Perennes