Con san Domenico, ai piedi del crocifisso, per morire con Cristo

Il mistero pasquale rifulge sopra tutte le rinunce di ogni genere alle quali consentiamo, o sopra le frustrazioni che sopportiamo, o nel dominio che abbiamo di noi stessi e sulla disciplina alla quale ci sottomettiamo.
Non parliamo di una stoica sapienza o di un certo ascetismo morale.
La vita risuscitata con Cristo confluisce già nel “morire con Cristo”, essa trasfigura la nostra battaglia e la nostra povertà, provoca la nostra offerta e decisione.
“Infatti se noi viviamo, viviamo per il Signore; se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo dunque del Signore” (Rm 14,8).
Morire con Cristo vuol liberarsi dalla pigrizia dell’esistenza, dal capriccio, dall’incostanza, dalla vita superficiale, dalla fatuità, dall’estetismo per scegliere invece sinceramente il vangelo e aderirvi fedelmente.
Morire con Cristo vuol dire sbarazzarsi delle ricchezze, dei riconoscimenti umani e di accettare di esserne privati per essere davvero padroni della propria vita in vista del regno di Dio.
Morire con Cristo vuol dire addossarsi il rischio di un amore fraterno che richiede di espropriarsi di sé, accettare il rischio di testimoniare la verità e la giustizia fra gli uomini, mantenere fede alla parola data.
Morire con Cristo vuol dire sopportare le asprezze e le resistenze di quelli che ci stanno intorno, non arroccarsi sulle proprie idee e i propri sistemi, vuol dire accettare il cambiamento che riattiva un’esistenza di fedeltà.
Morire con Cristo vuol dire prepararsi a vivere la propria morte come un’offerta e un riporsi con fiducia in Dio; accogliere nella speranza la morte anche dei fratelli e degli amici.
Morire con Cristo vuol dire sopportare con animo sereno di invecchiare, di essere spossessati e di essere sconfitti, anche nell’impegno apostolico.
Morire con Cristo vuol dire lasciarsi che i richiami ad amare, a condividere, a perdonare, a riconciliarsi, ci liberino dall’egoismo e dal narcisismo.
Morire con Cristo vuol dire sperimentare in certi momenti l’oscurità della fede e tenere duro.
Sono così numerose le occasioni di abnegazione e di sacrificio, anzi quasi necessarie in ogni vita cristiana condotta seriamente. Ma guardiamoci bene dal farne un programma da riprodurre sempre uguale. A ognuno, secondo la propria condizione o il tempo nel quale vive o secondo la vocazione che ha ricevuto, lo Spirito Santo a tempo opportuno fa sentire la chiamata che gli è necessaria, nella pace e in una gioia più profondi delle tempeste esterne o delle agitazioni emotive.
Non c’è celebrazione dell’Eucaristia senza che Cristo, condividendo con i fedeli radunati il suo sacrificio pasquale, non accolga ciò che nella loro esistenza prende la forma del sacrificio e della rinuncia evangelica, per poterlo trasformare in frutto di vita mediante la forza della sua Risurrezione. È così che celebriamo l’Eucaristia?