Un conto è essere persuasi di una cosa e un conto è esserne convinti. Persuasione e convinzione sono due modi diversi di accettare una verità. Essere convinti – come dice la parola – vuol dire sentire che la ragione viene incatenata o legata invincibilmente, perché costretta dall’evidenza della verità; essere persuasi, invece, vuol dire essere certamente avvinti, ma senza costrizione, perché la verità proposta non è evidente per la ragione. La persuasione coinvolge anche il sentimento: per questo è più vivace della convinzione, anche se non costringe allo stesso modo. Le verità matematiche sono indiscutibili e convincenti, ma a me non interessano più di tanto – anzi, a volte, per niente… -, non mi coinvolgono né mi avvincono. Una poesia, con una forte componente lirica, certamente non è convincente per l’intelletto, perché ha un valore individuale e non universale nel suo modo di vedere le cose: eppure è così avvincente che mi coinvolge, che io lo voglia o no.
La stessa cosa capita a proposito della dimostrazione dell’esistenza di Dio. Lo so bene che dalla bellezza di un fiore uno trae mille suggestioni persuasive per ammettere l’esistenza di Dio. Ma il problema per la ragione metafisica è un altro. E poi, visto che ci siamo, diciamola tutta: quando il bel fiore appassisce, questo vuol forse dire che Dio è morto?
Sì sì, la dimostrazione metafisica dell’esistenza di Dio è una faccenda molto tecnica. Occorre tuffarsi in un ambiente fatto di concetti puri, dove l’unico fascino è quello del concetto per il concetto. E io sento che la ragione, in questo ambiente, si compiace e trova essa stessa, per se stessa, la sua persuasione.
Come sono stupide le anime senza pensieri. Sembrano vuote. Prive di senso. Chissà se almeno sono capaci di andare a caccia di farfalle o se sanno raccogliere i mirtilli. Se no, ad quid?! Certo non si pretende che tutti si cimentino con pensieri che hanno dell’impossibile. Ma, d’altra parte, è impossibile che nessuno si sia mai cimentato con il pensiero dell’esistenza di Dio. Almeno per negarla o metterla in discussione!
Spessissimo – anzi praticamente sempre – quando mi presento con il mio abito domenicano per qualche conferenza o dibattito, anche se l’argomento da trattare è un altro, c’è sempre qualcuno che mi chiede: “e le cinque vie di S. Tommaso?”. Sono proprio famose queste cinque vie. Sì, le cinque prove dell’esistenza di Dio, che S. Tommaso d’Aquino elabora soprattutto – ma non esclusivamente – nella Somma Teologica. E pensare che sono sempre state nel mirino di coloro che contestano la metafisica o la capacità della ragione di affermare qualcosa intorno a Dio.
E poi, anch’io ho qualcosa da dire o da ridire, non tanto al riguardo delle formulazioni di S. Tommaso, quanto piuttosto alle interpretazioni che delle cinque vie vengono date dai commentatori. Se devo essere sincero, per me le cinque vie sono dei riassunti, con un valore più emblematico e simbolico, che teoretico. Se considero il fatto che spessissimo S. Tommaso gioca simbolicamente con i numeri – ho letto con interesse uno studio al riguardo, dove si prova addirittura il simbolismo numerico legato alla divisione delle questioni e degli articoli della Somma Teologica -, quando dice in modo così perentorio che con cinque vie si può provare che esiste Dio, ho almeno il sospetto che quel numero abbia qualcosa da significare al di là di una semplice e banale enumerazione. Beh, mi sono anche permesso di dare la mia interpretazione di questo caso di simbolismo numerico…
Un altro problema si affaccia: le cinque vie hanno un valore teoretico autonomo l’una dall’altra, oppure si riducono tutte a una prima e principale? La risposta non mi sembra difficile. Vista la loro funzione sistematica nello stesso piano del trattato su Dio, per cui S. Tommaso spesso fa riferimento all’una o all’altra prova per giustificare alcuni attributi divini, è ovvio che le prove siano pensate con valore teoretico autonomo. Altra cosa è invece ritenere che siano tutte rigorose e incontrovertibili, o che comunque possano essere rigorizzate. Mi convince la prima via, debitamente esposta: S. Tommaso stesso dice che è “la più evidente”. Ma non nascondo anche altre simpatie: S. Anselmo è rigorosamente geniale…il mio maestro Gustavo Bontadini stringeva tutto nella morsa parmenidea rivisitata. Per questo però non penso di poter essere confuso con uno che va a caccia di farfalle… La teologia razionale rende segugi del rigore nella bellezza del discorrere su Dio.

fra Giuseppe Barzaghi