Con progetti e criteri di realizzazione estremamente precisi sulla strutturazione dell’Ordine, con l’appoggio incondizionato del papa, con un orizzonte ecclesiale ulteriormente allargato, in quei primi giorni di maggio del 1220 Domenico lascia la Curia romana per raggiungere prima della Pentecoste i suoi religiosi convenuti a Bologna per il Capitolo Generale.

Lo accoglie una numerosa comunità: i religiosi di san Niccolò e una trentina di padri capitolari. Possiamo facilmente immaginare cosa sia stato quell’incontro. Il convento brulica come un alveare dopo l’irruzione dello sciame. Tra i delegati figurano, nella grande maggioranza, quelli della primissima ora, scelti dalle singole comunità come propri rappresentanti. Se durante i suoi viaggi Domenico ha potuto incontrarsi con l’uno o con l’altro dei suoi figli, essi tra loro non si sono mai visti da oltre tre anni. Tutti si erano dati all’Ordine con generosità, certo, ma non senza apprensioni. E dinanzi alle incognite del futuro, più di una volta il timore li aveva sopraffatti. Adesso l’Ordine si presenta loro come una istituzione organica, traboccante di energie conquistatrici, riconosciuta e lanciata dalla Chiesa di cui risponde alle aspettative, saldamente stabilita in Europa. I giovani religiosi di Bologna si segnano a dito con ammirazione fra Simone di Svezia e fra Nicola di Lund, primizie della Scandinavia; i frati di Madrid e di Segovia arrivati dalla Castiglia; i rappresentanti della Provenza e i quattro di Parigi. Tra questi vi è un religioso che ha vestito l’abito da meno di tre mesi, ma che tutti riconoscono come la migliore recluta di maestro Reginaldo nelle poche settimane del suo soggiorno a Parigi. Maestro in Arti, baccelliere in teologia, di qualche anno appena più giovane di Domenico, Giordano di Sassonia è la seconda personalità – dopo Matteo di Francia – del convento di Saint-Jacques. A fianco dei maestri in Arti e in Diritto che affollano il convento di Bologna, egli rappresenta le Lettere e la Teologia di Parigi. Fra Ventura da Verona, che attende soltanto l’arrivo di Domenico per vestire l’abito e fare professione nelle le sue mani, rappresenterà al Capitolo il convento di Bologna, molto probabilmente assieme al nuovo priore, il maestro decretalista Paolo l’Ungaro, a maestro Chiaro e forse anche a maestro Chiaro e a maestro Rolando e maestro Moneta da Cremona.

Il giorno di Pentecoste è dedicato alla preghiera. Il coro di San Niccolò delle Vigne è incapace di contenere un numero così grande di religiosi. Durante la celebrazione liturgica, per unire quei frati convenuti dai quattro angoli dell’orizzonte e le cui voci, la pronunzia, le stesse abitudini trovano difficoltà a fondersi armonicamente, Domenico si avvicenda da un coro all’altro per esortare i suoi figli a cantare con attenzione ed esattezza, a permeare di devozione la loro salmodia.

L’indomani il Fondatore raccoglie la comunità nella sala capitolare e tutti invocano lo Spirito Santo, principio di ogni azione nei figli di Dio. Poi Domenico rivolge la parola. Si ricordano i confratelli defunti e il pensiero di tutti corre istintivamente a maestro Reginaldo, la cui presenza è così sensibili in quel chiostro e in quell’adunanza. I frati del convento di Bologna che non sono capitolari escono dalla sala e ha inizio il Capitolo.

da H. Vicaire, Storia di san Domenico, pp.529-532

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