La liturgia è un dialogo tra Dio e il suo popolo, in Gesù Cristo, per opera dello Spirito Santo. Nel dialogo liturgico ci sono due interlocutori, Dio e la comunità umana, che parlano e si ascoltano a vicenda. Come in tutti i rapporti umani, anche con Dio il dialogo è fatto di parole ma anche e soprattutto di atteggiamenti e gesti; noi italiani siamo bravissimi a parlare col volto, con le mani, a gesticolare, fin troppo talvolta. Basta osservarci quando parliamo al telefono: l’altro non vede ma noi nel parlare non siamo delle mummie, tutt’altro. Così nelle nostre liturgie, non possiamo avere sempre la medesima faccia e, nel parlare, sempre il medesimo tono di voce. Talvolta nella liturgia è Dio che ci parla attraverso Gesù nella lettura della Bibbia, talvolta prestiamo a Gesù le nostre azioni umane per significare le sue azioni divine (sacramenti); talvolta siamo noi che rispondiamo al Signore, con parole e con gesti nostri. Guardiamo la liturgia della parola che è un vero dialogo fatto di ascolto e canti di risposta; la liturgia eucaristica è fatta soprattutto di preghiere nostre con azioni simboliche per indicare l’azione di Gesù; la liturgia di inizio e quella di conclusione sono invece sostanzialmente un dialogo all’interno dell’assemblea, tra colui che presiede e i fedeli. Ma anche nella liturgia della parola e nella liturgica eucaristica ci sono dei momenti di dialogo all’interno dell’assemblea. Ora questi testi verbali non possono essere detti tutti alla stessa maniera: una cosa è se rivolgiamo la nostra preghiera a Dio, una cosa se proclamiamo la sua parola, una cosa se cantiamo un salmo, una cosa se facciamo un’omelia, una cosa se invitiamo l’assemblea all’attenzione o acclamiamo. Ci sono infatti anche dei momenti nei quali richiamiamo l’attenzione su quanto si sta per fare, coi quali introduciamo un momento, un rito, o coi quali congediamo l’assemblea. Nelle annotazioni che seguono tengo presente in particolare la messa, che è la celebrazione più complessa e variegata, ma le stesse annotazioni possono essere applicate alla liturgia delle Ore o agli altri sacramenti.

Elementi che entrano nella celebrazione liturgica

L’Ordinamento Generale del Messale Romano (= OGMR, del 2004) tratta, all’inizio, dei diversi elementi che entrano nella Messa; li ricordiamo (nn. 29 ss):

Lettura della parola di Dio e sua spiegazione

«Quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura, Dio stesso parla al suo popolo e Cristo, presente nella sua parola, annunzia il Vangelo. … E benché la parola di Dio nelle letture della sacra Scrittura sia rivolta a tutti gli uomini di ogni epoca e sia da essi intelligibile, tuttavia una sua più piena comprensione ed efficacia viene favorita da un’esposizione viva e attuale, cioè dall’omelia, che è parte dell’azione liturgica» (29). Si distinguono qui già due momenti: la lettura della Sacra Scrittura e l’omelia.

Le orazioni e altre parti che spettano al sacerdote

Tra le parti proprie del sacerdote, occupa il primo posto la Preghiera eucaristica; seguono poi le altre orazioni (colletta, preghiera sulle offerte, preghiera dopo la comunione). Spetta ugualmente al sacerdote formulare alcune monizioni per introdurre i fedeli alla celebrazione, come: dopo il saluto iniziale e prima dell’atto penitenziale; alla Liturgia della Parola, prima delle letture; alla Preghiera eucaristica prima di iniziare il prefazio; prima del congedo, per concludere l’intera azione sacra. La natura delle parti «presidenziali» esige che esse siano proferite a voce alta e chiara. Il sacerdote infatti, in quanto presidente, formula le preghiere a nome della Chiesa e della comunità riunita (cf. 30-33). Qui si distinguono le orazioni e le monizioni.

Altre formule che ricorrono nella celebrazione

Poiché la celebrazione della Messa, per sua natura, ha carattere «comunitario», grande rilievo assumono i dialoghi tra il sacerdote e i fedeli riuniti e le acclamazioni. Infatti questi elementi non sono soltanto segni esteriori della celebrazione comunitaria, ma favoriscono e realizzano la comunione tra il sacerdote e il popolo (34). Qui si ricordano i dialoghi e le acclamazioni.

Altre parti ancora sono: l’atto penitenziale, la professione di fede, la preghiera universale (detta anche preghiera dei fedeli) e la preghiera del Signore (cioè il Padre nostro) (36), nelle quali sono coinvolti tutti i fedeli, come anche nel canto del Gloria, dell’Alleluia, del Santo, dell’Agnello di Dio e di altri canti che accompagnano qualche rito (37).

Ne consegue che il modo di proclamare i vari testi, non può essere monocorde (38). Giustamente pertanto l’introduzione al Messale annota: «Nei testi che devono essere pronunziati a voce alta e chiara dal sacerdote, dal diacono, dal lettore o da tutti, la voce deve corrispondere al genere del testo, secondo che si tratti di una lettura, di un’orazione, di una monizione, di un’acclamazione, di un canto; deve anche corrispondere alla forma di celebrazione e alla solennità della riunione liturgica. Inoltre si tenga conto delle caratteristiche delle diverse lingue e della cultura specifica di ogni popolo» (n. 38: i corsivi sono miei). Il discorso è tutto qui, ma possiamo vedere più analiticamente.

Liturgia di introduzione alla celebrazione (nn. 46 ss)

I riti di introduzione e di preparazione alla celebrazione sono: l’introito, il saluto, l’atto penitenziale, il Kyrie eleison, il Gloria e l’orazione (o colletta).

L’introito è costituito dal canto iniziale. Se all’introito non ha luogo il canto, l’antifona proposta dal Messale romano viene letta o dai fedeli, o da alcuni di essi, o dal lettore, o altrimenti dallo stesso sacerdote che può anche adattarla a modo di monizione iniziale.

Terminato il canto d’ingresso, il sacerdote, stando in piedi alla sede, con tutta l’assemblea si segna col segno di croce. Poi il sacerdote saluta la comunità radunata. Salutato il popolo, il sacerdote, o il diacono o un ministro laico, può fare una brevissima introduzione alla Messa del giorno. Quindi il sacerdote invita all’atto penitenziale. Quanti generi diversi di interventi: il canto, il segno di croce, il saluto, l’introduzione, l’atto penitenziale. La monizione introduttiva è colloquiale, gli altri testi no. Il Kyrie è una acclamazione-supplica, mentre il Gloria è un inno, al quale segue l’orazione, o colletta, suggellata dall’Amen del popolo. È evidente che l’orazione è rivolta a Dio, e qui si richiede già un tono particolare che è il rivolgersi a Dio; non è un testo rivolto al popolo, anche se deve essere comprensibile dall’assemblea per poter essere confermato con l’Amen. Se nell’introduzione si guarda all’assemblea, nell’orazione si guarda a Dio e ci si rivolge a lui, lo sguardo è in alto, nei canti ci si rivolge prevalentemente a Dio.

Liturgia della Parola (nn. 55 ss)

La parte principale della Liturgia della Parola è costituita dalle letture prese dalla sacra Scrittura con i canti che le accompagnano; l’omelia, la professione di fede e la preghiera universale o preghiera dei fedeli sviluppano e concludono tale parte. Infatti nelle letture, che vengono poi spiegate nell’omelia, Dio parla al suo popolo. Il popolo fa propria questa parola divina con il silenzio e i canti, e vi aderisce con la professione di fede. Così nutrito, prega nell’orazione universale per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza del mondo intero. È un vero dialogo tra Dio e il suo popolo. Anche nella stessa proclamazione non tutti i testi biblici sono uguali. Pensiamo al salmo responsoriale, che non è una lettura ma un canto, e richiederebbe un ministro diverso dal lettore, e proferito con un altro ritmo: un canto o una proclamazione ritmati, per favorire il ritornello dell’assemblea. Anche i ministeri sono diversi; piuttosto che avere due lettori (prima lettura e salmo, e seconda lettura) sarebbe più consono avere un lettore e un salmista. Ogni lettura si conclude poi con una acclamazione (Parola di Dio, Parola del Signore) che non sopporta un verbo essere, esempio: è parola di Dio. Il vangelo poi è preparato da un dialogo introduttivo, che non è colloquiale ma anch’esso di acclamazione e di richiamo all’importanza del momento. Pensiamo anche al solenne dialogo introduttivo alla Preghiera eucaristica. L’omelia è invece colloquiale a differenza delle letture bibliche che vengono proclamate (non declamate): un bravo attore o dicitore non di per sé è un bravo ministro nella liturgia della parola, che richiede umiltà, perché non deve emergere la bravura del lettore, ma la parola che viene dall’alto. Per questo motivo le letture bibliche e il salmo non possono essere affidate a lettori incompetenti. Solo nelle celebrazioni a prevalenza di ragazzi le letture possono essere affidate a ragazzi. Non per nulla la chiesa nei secoli ha istituito un ministero del lettore, il quale però non ha solo il compito di leggere, ma anche di svolgere una prima catechesi, come i leviti nell’assemblea penitenziale di Neemia (cap. 8).

Liturgia eucaristica (nn. 72 ss)

Nella preparazione e presentazione dei doni il sacerdote dice alcune preghiere sottovoce, mentre le piccole benedizioni sul pane e sul vino, secondo l’opportunità, possono essere dette ad alta voce (con la risposta acclamatoria dell’assemblea) o sottovoce. Mentre è ad alta voce l’invito a pregare (Pregate fratelli…) al quale segue la preghiera sulle offerte. Naturalmente per questa preghiera l’assemblea sialza in piedi, come per tutte le preghiere. È bene invitare ad alzarsi in piedi, con un gesto o con la voce. Il tono di questo invito a pregare è quello stesso che precede ogni preghiera, è un invito più lungo, rispetto al semplice: preghiamo.

Segue la grande preghiera eucaristica. composta di vari momenti. Sostanzialmente la preghiera eucaristica si divide in due parti: la prima è commemorativa delle opere di Dio e quindi di memoria (anamnesi) e lode (dossologia); la seconda è di supplica e intercessione (epiclesi). Il racconto dell’ultima cena appartiene alla prima parte e ne è il momento culminante. C’è un dialogo iniziale, antichissimo, già presente in tutte le preghiere eucaristiche che ci sono giunte, dialogo che risente anche del cerimoniale solito in quel tempo nel rivolgersi alle autorità regali o all’imperatore, un dialogo che ha una sua solennità. Segue subito un inno di glorificazione e di gratitudine, suggellato da una acclamazione del popolo (Santo, Santo, Santo il Signore), acclamazione che non sopporta evidentemente un verbo ‘essere’ esplicativo: “santo è il Signore”. Durante la preghiera c’è anche un’altra acclamazione: Mistero della fede, che si riferisce non alla presenza eucaristica ma alla pasqua di Cristo (Annunciamo…). La preghiera si chiude poi con una grande dossologia trinitaria (Per Cristo), con la grande offerta (elevazione del pane e del vino consacrati) al Padre; la dossologia è rafforzata dall’Amen dei fedeli. La preghiera eucaristica deve chiudersi in crescendo, anche nella voce. La prima parte della preghiera, come detto, si dilunga sulle opere di Dio; la memoria dell’ultima cena di Gesù e del suo comando di ripetere il suo gesto, fa parte ancora delle memorie. Il richiamo all’ultima cena è il motivo che spiega la celebrazione, che ha lo stesso intento di Gesù quando egli ha compiuto questo gesto prima di morire. La seconda parte della preghiera è di commemorazione della pasqua e poi di invocazione. La prima invocazione è che venga lo Spirito Santo a trasformare questa cena in cena del Signore, e a santificare quanti vi partecipano, stringendoli in unità, e facendo diventare anche loro una offerta viva a gloria del suo nome. Le intercessioni si dilungano sulla chiesa, sui fedeli presenti e sui defunti, che affidiamo alla clemenza del Padre. Tutta la chiesa, terrena e celeste è coinvolta in questa celebrazione (insieme con gli angeli e i santi). Si può scegliere la preghiera eucaristica più consona alla celebrazione, tra la decina che troviamo nel Messale. Non ha senso usare sempre le solite, trascurando quelle un po’ più lunghe. Ci sono poi un centinaio di Prefazi (preghiere di lode iniziali), tra i quali scegliere il più adatto a quella particolare celebrazione o ai testi biblici che sono stati enunciati. Non facciamoci prendere dall’abitudinarietà. Ci sono nel messale anche una infinità di orazioni tra le quali scegliere. C’è anche un messale per le Messe coi fanciulli, con tre preghiere eucaristiche secondo le età dei ragazzi. Ma anche in questi ultimi casi le preghiere siano sempre preghiere, non catechesi o prediche.

L’introduzione al Padre nostro è solo una monizione, non una preghiera; per cui il Padre nostro non può avere lo stesso tono della monizione. Le acclamazioni rimangono acclamazioni, l’Agnello di Dio è un canto che accompagna la frazione del pane. L’orazione dopo la comunione non è la conclusione della celebrazione ma conclude la liturgia eucaristica: di per sé dovrebbe essere fatta all’altare, si fa al seggio semplicemente perché dopo la comunione dovremmo sostare in silenzio per un ringraziamento personale (o comunitario) al Signore, per il quale si dice che si può stare seduti. In questo caso il presidente si ferma alla sede per non fare troppi movimenti.

Riti di conclusione (n. 90)

Nel n. 90 si dice: «I riti di conclusione comprendono: a) brevi avvisi, se necessari; b) il saluto e la benedizione del sacerdote (ci sono anche delle orazioni sul popolo)…; c) il congedo del popolo … perché ognuno ritorni alle sue opere di bene lodando e benedicendo Dio; d) il bacio dell’altare…». Qui i generi letterari, come si vede, sono vari. Poiché ordinariamente non siamo stati istruiti su queste cose, abbiamo preso delle abitudini difficili da superare.

Liturgia delle Ore

Discorso analogo potrebbe essere fatto per la Liturgia delle Ore, che è più lineare, meno complessa, anzi quasi fin troppo semplificata e omologata, per facilitare coloro che erano meno avvezzi a questo tipo di preghiera, la quale appartiene non solo al clero e alle anime consacrate ma a tutto il popolo di Dio; che può essere fatta non solo comunitariamente ma anche individualmente. Prima delle riforma ultima la celebrazione della liturgia delle Ore (o Breviario) era più varia, ora invece tutte le Ore dell’ufficio si snodano con un progetto unico: introduzione, inno, 3 salmi, lettura biblica, responsorio, cantico del NT e preghiere di invocazione o di intercessione col Padre nostro a Lodi e Vespro, rito di conclusione. A Compieta c’è ordinariamente un salmo solo, prima dell’inno una breve liturgia penitenziale; dopo il responsorio il cantico del Nunc dimittis; alla fine un’antifona mariana.

Anche in questo progetto di celebrazione unificato ci sono però generi diversi di intervento. L’inizio è proprio di invito alla preghiera, un invito che, nella forma comunitaria, ci rivolgiamo a vicenda, dialogando tra presidente, cantore e fedeli. La prima invocazione è tuttavia sempre rivolta al Signore: Signore apri le mie labbra, o O Dio vieni a salvarmi. Il salmo invitatorio (ce ne sono quattro) è un salmo, non una lettura, con una sua antifona, come nel salmo responsoriale della messa; sempre c’è una dossologia alla santissima Trinità. Segue l’inno, che ha un suo tono, un suo ritmo, non è anch’esso una lettura, di per sé è un canto. Poi i salmi con la loro antifona, da pregare con le caratteristiche proprie del salmo. Il salmo nella celebrazione comunitaria ha un andamento ritmico, anche questo dovrebbe essere un canto (cantillazione), a due cori o responsoriale. Segue la breve lettura (o due letture più ampie nell’Ufficio di lettura) col suo responsorio. I cantici del NT sono anch’essi degli inni. Le preghiere di invocazione (al mattino) e di intercessione (alla sera) hanno la modalità delle preghiere dei fedeli; alla preci scritte se ne possono aggiungere altre, più legate alla situazione locale o personale. La fretta non sia norma. Il Padre nostro, quando c’è, è il momento più alto della celebrazione. Il fatto che lo sappiamo a memoria può farlo scadere nella abitudine, mentre si fanno altre cose, come mettere via il breviario o gli occhiali. Poi c’è l’orazione conclusiva, rivolta sempre a Dio. Il rito di conclusione comporta, a Lodi e Vespri, anche la benedizione del sacerdote o del diacono, se ci sono, alla quale segue il congedo. Nelle Ore minori si conclude con l’invito a continuare a lodare il Signore: Benediciamo il Signore. Questo è tanto più vero in una comunità domenicana, dove tutta la vita è una liturgia. Nel nostro Ordine, un tempo tutte le Ore si concludevano col Benediciamo il Signore.

Attenzione anche ai salmi, non sono tutti uguali. A Lodi il primo salmo è lieve leggero, intonato all’inizio del giorno, il secondo è un cantico del Vecchio Testamento, il terzo salmo è quello propriamente di lode, è il più solenne. Lo stesso si dica per il Vespro: ci sono dapprima due salmi, in genere intonati alla sera, il terzo salmo è un cantico del NT, il più importante dei tre. È un crescendo, fino ai cantici del NT: Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis (a compieta) un cantico, quest’ultimo, che sarà anche l’ultima preghiera della vita: Ora lascia o Signore che il tuo servo vada in pace.

Che le nostre celebrazioni siano veramente delle preghiere; che uno esca dalla celebrazione dicendo: abbiamo proprio pregato; ricordandoci di continuare la preghiera anche andando a casa o ritornando in cella. Benediciamo il Signore. Rendiamo grazie a Dio.

fra Raffaele Quilotti