25 aprile 2021

Un solo gregge, un solo pastore

LETTURE: At 4,8-12; Sal 117; 1Gv 3,1-2; Gv 10,11-18

Nella liturgia di questa domenica del tempo pasquale il Signore si presenta come il «buon pastore». Si tratta di un’immagine con una fortuna antichissima: le testimonianze che ne abbiamo mostrano come fin dalle origini la Chiesa l’abbia messa in risalto. Ben oltre i confini della cultura a cui Gesù immediatamente si era rivolto, nella cui vita ed economia pastori e greggi erano un elemento quotidiano e fondamentale, questa immagine sembra comunicare con immediatezza molti aspetti della vita cristiana: innanzitutto, la sollecitudine del Signore per il suo popolo, sul quale vigila, e che conduce ai pascoli migliori.

Gesù è il pastore che dà la vita per le pecore, a differenza del mercenario, e si oppone al «lupo», che può giungere, e rapire e disperdere le pecore. Il Signore assume qui in prima persona, e nel modo più proprio e sommo, il ruolo che egli stesso demanda ad alcuni, perché in sua vece, e amministrando la funzione che spetta a lui solo, si occupino del gregge: nella Chiesa sono costituiti così molti «pastori», e innanzitutto i «vescovi», nel cui nome si distingue la radice del verbo greco che significa «vegliare» e «proteggere». Il loro carisma sarà quindi di condurre il gregge, e di prestare attenzione affinché non si disperda, guardandolo dai «lupi». Ancora una volta possiamo osservare come il mistero dell’incarnazione, in forza del Capo, prosegua per il suo corpo: la Chiesa è il corpo di Cristo, e in essa continua il mistero di mediazione attraverso l’umanità, che è il modo che Dio ha scelto per salvare gli uomini. L’unico «buon Pastore» è presente nella mediazione della Chiesa, in cui altri «pastori» sono costituiti a guidarla, affinché gli uomini distanti nel tempo e nello spazio dalla vita terrena del Figlio incarnato possano comunque incontrarlo, attraverso questa – per così dire – incarnazione continua. È quanto potremmo forse ricollegare anche alle parole di Gesù, altrimenti misteriose, quando poco oltre afferma che egli è venuto affinché le diverse pecore divengano «un solo gregge», ma anche «un solo pastore».

Il Signore afferma però nel testo evangelico che abbiamo ascoltato di avere «altre pecore che non provengono da questo recinto», e di dover guidare anche quelle. Esse «ascolteranno la mia voce», dice Gesù, e diventeranno – appunto – «un solo gregge e un solo pastore». Nell’immediatezza della situazione a cui si riferisce, con gli interlocutori in cui il dialogo è storicamente collocato, il riferimento è a coloro che non appartengono a Israele: il Verbo è venuto «tra i suoi», come afferma Giovanni nel prologo del suo vangelo, ma la missione di salvezza è universale. Gesù ha predicato nella sua terra, in particolare al suo popolo: le parole che la pagina evangelica di oggi riporta, in particolare, sono poste dalla narrazione a Gerusalemme, dopo l’episodio della guarigione del cieco nato, interrogato e cacciato dai Farisei per aver dato testimonianza del «segno» compiuto dal Signore. Dunque, le parole di Gesù si riferiscono qui innanzitutto alla sua missione, non limitata a Israele, ma universale.

Del resto, è quanto ci ricorda anche il discorso pronunciato invece da Pietro e Giovanni nel racconto degli Atti degli Apostoli, che abbiamo ascoltato come prima lettura: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (At 4,12). Non vi è altro mediatore; non vi è altra grazia, e altra salvezza, che non sia quella di Gesù Cristo. 

Questo significa allora che la salvezza giunga solo entro i confini dell’appartenenza esplicita, visibile a Cristo, e quindi – per quanto abbiamo detto poco sopra – alla Chiesa che è il suo corpo? Certamente no: alla riflessione della Chiesa, anche nei secoli del Medioevo, è sempre stato chiaro che la grazia non è legata esclusivamente ai sacramenti – che pure ne sono canali certi. Dio giustifica anche chi pare lontano: anche chi non è toccato dall’annuncio per motivi geografici o di tempo, o per cause più complesse e meno distinguibili, là dove invece i predicatori del vangelo da tempo sono arrivati – nessuno, se non Dio stesso, conosce fino in fondo il mistero che ciascuno di noi è.

E tuttavia, chiunque è salvo, lo è in virtù di Cristo: non vi è altro mediatore – «non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati». Sia oppure no cosciente di questo chi è toccato dalla grazia, questa è sempre grazia di Cristo.

In tutto questo, in ogni caso, anche la Chiesa ha sempre un ruolo, perché, anche là dove non sia per il suo ministero esplicito che la salvezza di Dio arriva agli uomini, essa costituisce lo strumento in forza del quale, pur misteriosamente, non visibilmente, la grazia li raggiunge: in forza dell’incarnazione questo è avvenuto una volta per tutte, in forza del corpo di Cristo che permane sulla terra questo continua ad avvenire. Affinché diventino «un solo gregge e un solo pastore».

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