“nemo propheta in patria”

3 febbraio 2019

LETTURE: Ger 1,4-5.17-19; Sal 70; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30

Domenica scorsa abbiamo letto dell’inizio del ministero pubblico di Gesù così come ce lo racconta il vangelo di Luca, che ha scelto un momento solenne (la liturgia sinagogale del sabato) in un luogo (Nazaret) dove Gesù era ben conosciuto ed evidentemente stimato e ben voluto.

Il brano che Gesù ha appena proclamato è l’oracolo del profeta Isaia sul lieto annuncio ai poveri, un brano capace di far sognare ad occhi aperti, di destare nel cuore la commozione, nella speranza che un giorno – chissà – quelle parole possano realizzarsi per un intervento divino a lungo atteso e desiderato e finalmente, straordinariamente, realizzato… è un futuro di gloria per un Israele vessato e insignificante che quelle soavi parole lasciano intravvedere.

Con inaudito coraggio, con un audacia blasfema per i suoi ascoltatori, Gesù proclama compiuta, “oggi” quell’antica Scrittura. Perché, al di là di una realtà che appare sempre uguale, segnata dalla fatica, dall’infermità, dall’ingiustizia e dall’oppressione, in Gesù Dio si fa vicino e il regno è venuto, anzi è qui “è in mezzo a voi”, come dirà lo stesso Gesù (Lc 17,21). A ben vedere questa è la verità sull’uomo e sul suo futuro che Gesù ha annunciato e che la chiesa deve illustrare e testimoniare dinanzi al mondo. Questo e questo soltanto è il vero contenuto dell’evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, a cui essa è tenuta per mandato divino. Ogniqualvolta lo si dia per noto, o lo si confini alle parole della ripetizione liturgica, o lo si ponga a vago coronamento di altri messaggi “più concreti”, di immediata valenza storica, a sostegno dell’etica, a favore del bene sociale e politico, a difesa della pace o di quant’altro urga al presente: ebbene, proprio in quel momento la voce della chiesa diviene mondana, e vano il suo appello a Cristo, e insipido il suo sale e marcio il suo lievito. Questo, e questo soltanto è il “lieto annuncio ai poveri”, scritto su quel rotolo del profeta Isaia: in Gesù Dio si fa vicino ad ogni uomo e questa vicinanza è più forte di tutto, vince la stessa morte.

Ma allora, come oggi, questo messaggio che pure è il cuore del cristianesimo, appare marginale se non inutile per chi vuole manifestazioni più evidenti e concrete della presenza del divino nella sua vita e nel mondo… Il seguito dell’episodio, dopo le parole solenni di Gesù, ci rivela proprio questo: dapprima gli astanti non capirono bene (“erano meravigliati”) ma si compiacquero (Gesù è pur sempre un compaesano, “il figlio di Giuseppe”) ; poi però pensarono ai miracoli di cui avevano notizia da Cafarnao e sperarono di vederne uno ancor più grande; infine, alla risposta deludente di Gesù (“nessun profeta è bene accetto nella sua patria”) capirono che quell’oggi da lui pronunciato non avrebbe significato nulla di concreto per loro e giustamente – dal loro punto di vista – si sdegnarono. E lo sdegno giunse al punto da voler fisicamente eliminare Gesù, ai loro occhi sicuramente presuntuoso, arrogante e blasfemo.

Questo episodio, altamente simbolico in ogni suo passaggio, preannunzia fin dall’inizio lo scacco umano che attese Gesù in vita e che in ogni tempo attende il resto fedele della chiesa: coloro che proprio e soltanto a partire dall’umana delusione per quell’oggi pronunciato da Gesù a Nazaret accettano di vivere la loro fede e di darne testimonianza. Perché qui, infatti, sta il punto. Finché il profeta consola, prospettando un futuro meraviglioso e indicando le buone azioni personali e sociali necessario per conseguirlo, egli sarà ascoltato da tutti con simpatia e riverente affetto: tutti diranno bene di lui (Luca 6,26: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti”) quand’anche le sue parole suonassero di rimprovero e severa ammonizione, in vista della meta da raggiungere. Ma se il discepolo del Regno proclama che quel meraviglioso futuro non è da attendersi fra prodigi e prove tangibili, talché nessuno potrà dire: ”Eccolo qui, o eccolo là” perché esso è già compiuto, e il Regno è presente “Ecco, il Regno di Dio è in mezzo a voi”(Lc 17,21) e non si pone quale realtà da costruire, bensì quale verità da riconoscere e servire; ebbene, a un tale discepolo toccherà l’amarezza dell’abbandono, del disprezzo e anche della persecuzione da parte di tutti, fuori e dentro la chiesa, a conferma delle parole a lui rivolte da Gesù: “Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo” (Lc 6,22-23).

In questa prospettiva ci soccorrono e confortano le ispirate parole dell’apostolo, nel suo straordinario inno alla carità che è la seconda lettura di questa liturgia domenicale: “la carità… non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta”.