Da tre anni, dopo essere stato a lungo incoraggiato da un confratello della mia comunità di Bergamo, su richiesta della Curia Diocesana ho accettato di iniziare ad insegnare religione cattolica nel Liceo delle Scienze Umane delle suore Sacramentine di Bergamo.
Ho iniziato con tanti dubbi sulle mie capacità di insegnante, dopo brutti ricordi legati agli anni delle superiori: avevo quasi giurato di non mettere più piede in quegli ambienti che mi ricordavano tante fatiche legate all’adolescenza, ma Dio, mi stupisce sempre! La Sua fantasia nella mia vita ancora non mi trova abituato ai Suoi piani e, come sempre, riconosco che la Sua volontà è vero bene per me.
È iniziato quindi in questo liceo un tempo molto ricco del mio ministero. Poter evangelizzare è la cosa più importante e bella che il Signore mi chiede da battezzato e da presbitero domenicano, e di evangelizzazione si tratta nella cura che un docente di religione deve avere nei confronti dei ragazzi.
Molto spesso ho incontrato giovani, figli del nostro tempo, provati da molte esperienze che feriscono: ragazzi divisi, proprio contesi tra un genitore e un altro per via del fallimento del loro matrimonio; altri ragazzi che stanno facendo i conti con una solitudine non volontaria, e anche tanti segni di speranza: ragazzi che guardano al loro futuro con coraggio, pieni di idee, famiglie molto attente alla crescita umana e cristiana dei loro figli che ci hanno affidato.
La curiosità che ha suscitato i ragazzi nell’avere un docente sacerdote sembra non aver fine anche dopo anni di conoscenza. Le domande intelligenti che mi pongono sulla vocazione, il celibato, la missione, il seguire Cristo, sono quasi quotidiane. Questi studenti svolgono a me un grande servizio: non dimenticarmi mai le motivazioni prime della risposta alla chiamata che ho ricevuto, e rispondere loro non con teoremi poco convincenti, ma con la concretezza della mia vita.
Appena ho iniziato a conoscere le classi, ho cominciato a sentire i ragazzi chiamarmi: “Profe, scusi una domanda… Profe posso uscire?… Profe ha sentito questo fatto al telegiornale, che ne dice?”.
All’inizio non capivo che si rivolgevano a me: nessuno mai mi aveva chiamato professore.
Allora mi sono ricordato un aneddoto di un mio amico Rabbino, il quale anch’egli insegnante di religione in una scuola ebraica, veniva chiamato professore, e mi racconto che fermò subito i ragazzi chiarendo loro che il Rav David ci sarebbe stato per loro, per qualsiasi bisogno, anche dopo la scuola, perché era Rav, e non un prof che ha un orario in cui conclude il suo lavoro.
Mi colpì molto questa sua risposta e l’ho riutilizzata, perché dice una verità: “Ragazzi, non chiamatemi profe, non lo sono, chiamate Padre, come fanno tutti. Io abito a san Bartolomeo, sono un domenicano, quando avete bisogno di me, sapete dove trovarmi, non ho un orario in cui termina la mia disponibilità.”
Mi hanno guardato straniti, qualcuno ancora sbaglia e mi chiama profe, ma devo dire che moltissimi hanno compreso la differenza, e al di là del programma che svolgo, mi cercano per lunghi colloqui, confessioni e taluni anche per l’accompagnamento spirituale. Anche con i colleghi il rapporto di lavoro può diventare servizio a loro, anche se devo confessare che gli altri tanti incarichi che mi sono stati affidati non mi vedono a tempo pieno nella scuola. I rapporti che qui continuamente maturano mi fanno comprendere come i nostri giovani, i loro genitori, e i colleghi mendichino una paternità!
Oggi penso che noi sacerdoti impegnati nel mondo della scuola, ma non solo, non possiamo essere distratti e disattendere questo bisogno urgente di chi viene affidato al nostro ministero. Certo non basta farsi chiamare padri, occorre esserlo: occorre recuperare il cuore del pastore che Gesù ci indica nel vangelo di Giovanni al capitolo 10:
“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, e do la mia vita per le pecore.”
Meglio delle parole di Gesù per descrivere questo ministero che sto svolgendo non posso trovare, a questo modello sto guardando, riconosco ancora una distanza significativa tra il mio modo di insegnare e di essere nella scuola e il cuore di Cristo, ma la sfida di ogni settimana è proprio questa.

fra Igor Barbini