LA QUARESIMA E LA SUA “OSSERVANZA”

La quaresima fu e resta uno dei tempi liturgici più sentiti. Sulla sua configurazione influì la preparazione alla Pasqua, la preparazione dei catecumeni (cioè di quanti dovevano ricevere battesimo, cresima, eucaristia nella veglia pasquale), il cammino dei penitenti in vista della loro riconciliazione.
I passaggi attraverso i quali la quaresima si è costituita sono noti. Dopo un digiuno di quaranta giorni che in Egitto seguiva il battesimo del Signore (Epifania), troviamo a Roma una settimana di digiuno in preparazione alla Pasqua, nel IV secolo tre settimane e successivamente sei. Poiché di domenica non si digiunava, i giorni di digiuno erano trentasei.
Secondo Cassiano -autore letto da san Domenico, da san Tommaso e dai frati delle origini -, “la decima parte dei giorni che formano il ciclo completo di un anno è pari a trentasei giorni e mezzo”, cioè i giorni effettivi di digiuno e per conseguenza “la vera ragione della nostra pratica penitenziale è offrire a Dio la decima dell’anno”. Naturalmente il monaco offre a Dio tutta la vita, mentre la quaresima è stata pensata “per gli uomini del mondo, che sono ingolfati per tutto il corso dell’anno nei piaceri e negli affari” e i vescovi “hanno inteso obbligare anche i mondani a consacrare a Dio una decima della loro vita che, senza questa legge, sarebbe stata tutta divorata dalla vanità”.
Nonostante l’autorevole spiegazione, ripresa anche da san Gregorio Magno (t 604), si volle arrivare agli effettivi quaranta giorni di digiuno iniziandolo al mercoledì precedente la prima domenica. Conclusione: la quaresima era una parentesi per i laici, la normalità per i religiosi e un digiuno per tutti.
La riforma liturgica ha ristrutturato la quaresima per tutti e per tutto il tempo, dome niche comprese, passando dal solo digiuno alla celebrazione della quaresima, che “ha lo scopo di preparare la Pasqua: la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale sia i catecumeni, sia i fedeli per mezzo del ricordo del battesimo e della penitenza”.
Ciò precisato, digiuno e astinenza non sono sottovalutabili. Per san Tommaso “il digiuno propriamente detto consiste nell’astenersi dai cibi e soprattutto dai peccati” ed è ordinato “a cancellare la colpa e ad elevare la mente verso le cose superne”, per cui “se l’uomo non avesse peccato, non vi sarebbe nulla di tutto questo”. Certamente “il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giusti zia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17), tuttavia “l’uso di cibi e bevande, o l’astinenza dagli stessi, riguarda il regno di Dio in quanto l’affetto dell’uomo, attraverso tale comportamento, viene indirizzato al regno o ne viene distolto”.
Anche i vescovi italiani sono intervenuti su II senso cristiano del digiuno e dell’astinenza, che “non sono forme di disprezzo del corpo”. Il digiuno “obbliga (dai 18 ai 60 anni) a fare un unico pasto durante la giornata, ma non proibisce di prendere un po’ di cibo al mattino e alla sera”; l’astinenza (dai 14 anni in avanti), superando la casistica dei cibi grassi/magri, “proibisce l’uso delle carni, come pure dei cibi e delle bevande che, ad un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi”. Digiuno, pre ghiera ed elemosina “sono un atto di offerta e di amore al Padre che è nel segreto e che vede nel segreto”. In riferimento a Gesù il digiuno è richiesto “per lottare contro il maligno”. Per i discepoli, che ricordano il tempo in cui sarà loro tolto lo sposo (Mc 2,20), è “segno di partecipazione all’evento doloroso della passione e della morte del Signore e forma di culto spirituale e di vigilante attesa”. Nuovi modi di digiuno e astinenza consistono nella privazione o moderazione “non solo del cibo, ma anche di tutto ciò che può essere di qualche ostacolo ad una vita spirituale, pronta al rapporto con Dio nella meditazione e nella pre ghiera, ricca e feconda di virtù cristiane e disponibile al servizio umile e disinteressato del prossimo”.
Le rinnovate indicazioni sul digiuno (da praticarsi il mercoledì delle ceneri e il venerdì santo) e sull’astinenza (per i venerdì di quaresima), sono urgenti da riconsiderarsi per una effettiva osservanza della quaresima e anche per evitare che i cristiani normali tacciano sul digiuno mentre ne parlano i musulmani, le madonne che appaiono, i salutisti, i nuovi adepti di religioni orientali, i radicali di Pannella con i digiuni di protesta ecc.

LA QUARESIMA IN CASA NOSTRA

Se forse non esiste una quaresima domenicana, senz’altro esiste una quaresima dei Domenicani, ricca di riferimenti che aiutano a meglio vivere la quaresima di tutta la Chiesa.
Un primo e fondamentale riferimento è la predicazione. Il concilio di Trento prescrisse di predicare “durante le quaresime e l’avvento del Signore ogni giorno o, almeno, tre volte la settimana” e ciò che allora veniva codificato risaliva a una precedente prassi anche ad opera dei nostri frati. Va precisato che i discorsi teorici restarono deboli: ad esempio Umberto di Roman (+ 1277), quinto maestro generale dell’Ordine, non riservò speciali attenzioni alla quaresima nelle sue Istruzioni per i predicatori, oppure Giacomo da Varazze (+1298) interpretò poco felicemente la quaresima in riferimento a “il periodo della deviazione” – non si celebrano né i peccati né le deviazioni, ma il dono di Dio e la conversione! -, che “iniziò dal tempo di Adamo, quando deviò da Dio, e durò fino a Mosè”. Per contro la prassi fu attivissima e le cronache attestano predicazioni giornaliere in quaresima, soprattutto nei “confini”, cioè nei territori assegnati ad ogni convento per tale ministero. Tra le più famose opere pervenuteci, ricordiamo Giordano da Pisa, di cui è stato pubblicato il Quaresimale fiorentino del 1305-1306, notevole anche per l’apporto linguistico, oppure Jacopo Passavanti, di cui resta la rielaborazione del quaresimale del 1354 a Santa Maria Novella nell’opera Specchio della vera penitenza. Gli stessi sermoni popolari di san Tommaso d’Aquino (Padre nostro, Ave Maria, Credo, Decalogo) furono datati in quaresima, opinione interessante anche se oggi non più sostenuta. Più vicine al nostro tempo e ancora attive sono le Conferenze di Nòtre-Dame di Parigi, predicazioni quaresimali con un burrascoso inizio nel 1834 su impulso di Ozanam; nel 1835-6 le Conferenze furono affidate a Lacordaire non ancora domenicano, che poi come frate le riprese nel 1848-1851; a lui succedettero Ollivier, Monsabré, Etourneau, Janvier ecc. Tanta tradizione invita a vivere la quaresima ascoltando la parola e riproponendo nelle modalità di oggi “la parola divina della predicazione” (lTs 2,13).
Un secondo riferimento è l’ascesi e il digiuno. L’antica legislazione domenicana era rigorosa: per i frati e le monache prevedeva un digiuno dal 14 settembre a Pasqua con l’uso di “cibi quaresimali” in avvento e in quaresima. I cibi quaresimali escludevano uova e latticini e san Tommaso spiegava che “in ogni digiuno è vietato l’uso della carne, ma nel digiuno quaresimale sono vietati anche le uova e i latticini in quanto provengono da animali che a loro volta sono di carne”. Per i fratelli e sorelle della penitenza – gli allora laici domenicani – la regola di Munio di Zamora (1285) prevedeva il digiuno e inoltre “in avvento e in quaresima si faccia quotidianamente l’alzata notturna” per la preghiera del mattutino. La rigorosità della legislazione e della prassi primitiva invita a riconsiderare quanto oggi a livello di Chiesa universale e italiana è riproposto su digiuno e astinenza.
Un terzo riferimento sono alcune formule di preghiera.
Se oggi è prescritto che in quaresima “si solleciti la preghiera per i peccatori, inserendo la più di frequente nella preghiera universale”, tale fu pure la preghiera notturna di san Domenico che “gemendo diceva: Signore, abbi pietà del tuo popolo. Che cosa ne sarà dei peccatori? E così passava le notti insonne, pian gendo e gemendo per i peccati degli altri”.
Soprattutto la preghiera liturgica di Compieta nell’Ordine fu arricchita di varianti quaresimali che, riedite e approvate, anche oggi si possono usare a Compieta o ai Vespri o in ogni caso tenere presenti nella preghiera personale. È tradizionale l’inno Christe qui lux es et dies, ancora previsto, che orienta la notte e il cammino penitenziale verso la luce di Cristo. La risposta alla parola di Dio nella let tura breve è affidata ad alcune formule responsoriali: “In pace mi corico e subito mi addormento / non darò sonno ai miei occhi, né riposo alle mie palpebre” (Sai 4,9; 131,4), che mette insieme il sonno e la vigilanza (Ct 5,2: “io dormo, ma il mio cuore veglia”); “Nel mezzo della vita siamo nella morte: quale aiuto cerchiamo se non te, Signore, che giustamente sei adirato per i nostri peccati? Santo Dio, santo forte, santo e misericordioso Salvatore, non consegnarci all’amara morte. / Non rigettarci nel tempo della vecchiaia, non abbandonarci quando verrà meno la nostra forza”. San Tommaso piangeva nel cantare queste parole. Sempre a Compieta per il cantico di Simeone è prevista l’antifona: “Veglia su di noi, eterno Salvatore, perché non ci sorprenda l’astuto ten tatore, poiché tu sei diventato nostro eterno aiuto”, dove la vigilanza quaresimale trova senso nel Salvatore che veglia su di noi. E vi sarebbe ancora molto altro.
Una strofa dell’attuale inno dell’ufficio delle letture può sintetizzare tutto, a patto di citarla in latino: “Christi decoro lumine / dies salutis emicat, / dum corda culpis saucia / refor mat abstinentia (il giorno della salvezza sfavilla per mezzo dello splendido lume di Cristo, mentre l’astinenza riporta alla forma primitiva
i cuori rovinati dalle colpe)”. La penitenza quaresimale è un cammino verso la luce “decora” – cioè bella o addirittura elegante – di Cristo e insieme il ritorno alla forma e bellezza primitiva dell’uomo.

fra Riccardo Barile