”Il tempo è compiuto”

21 gennaio 2018

LETTURE: Gn 3,1,5.10; Sal 24; 1Cor 7,29-31; Mc 1,14-20

Al profeta Giona interessa soltanto essere un profeta di sventura e il fatto che per suo tramite Dio possa volere la conversione e la salvezza degli abitanti di Ninive -emblema di ogni pagana nefandezza- gli è francamente insopportabile. Insopportabile al punto da cercare di fuggire in capo al mondo per sottrarsi al compito profetico e addirittura al punto di preferire la morte al dover assistere a una misericordia elargita divinamente a piene mani, quando riluttante non può fare a meno di annunciare la minaccia promessa da Dio ai Niniviti e questi, inaspettatamente e subitaneamente, si convertono.

Da questo straordinario libretto, più un piccolo romanzo a sfondo favoloso che un tradizionale oracolo profetico, è tratta la prima lettura di questa domenica e la comprensione di questo testo orienta l’interpretazione delle altre letture, perché ci aiuta a comprendere che cosa è la storia della salvezza.

Noi usiamo comunemente questa espressione per indicare la storia biblica dell’antico Israele, a indicare che Dio si prende cura del suo popolo, lo libera dai nemici, dalla schiavitù dell’Egitto, gli promette la terra in cui abitare, lo aiuta a risollevarsi nei periodi di crisi… ma non pensiamo che la salvezza è innanzitutto perdono dei peccati. Non lo pensiamo neanche per noi, quello che chiediamo a Dio è aiuto e protezione, difficilmente siamo davvero capaci di domandare il suo perdono (a meno che la coscienza non ci rimorda per averla fatta troppo grossa, ma questo ci capita ben raramente), semplicemente perché –radicalmente- non pensiamo proprio di dover essere perdonati, siamo ben contenti di essere quello che siamo e convinti che se qualcosa possiamo fare su noi stessi è solo questione di buona volontà e di impegno. A guardare invece la nostra vita con il realismo della fede, è soltanto il perdono del peccato, cioè della nostra radicale incapacità di costruire pienezza di vita buona, che ci salva e dona alla nostra esistenza la possibilità di un’amicizia con Dio che la trasformi. Non a caso, all’inizio del vangelo di Giovanni, il Battista dice di Gesù che passa (lo abbiamo udito domenica scorsa): “Ecco l’agnello di Dio”, e poco prima aveva aggiunto a questa esclamazione: “colui che toglie il peccato del mondo!”(Gv 1,29).

L’apologo del profeta Giona ci insegna che Dio non si stanca, fin dalla prima trasgressione nel giardino di Eden, di andare in cerca dell’uomo per usargli misericordia. E questa ricerca non conosce limiti di spazio e di tempo, né tanto meno –è proprio il caso di Giona- di appartenenza etnica e religiosa. Infine, di fronte al rifiuto dell’uomo di volere essere perdonato e quindi di convertirsi, questa ricerca trova la sua estrema possibilità nel dono del Figlio, che, per comprendere la straordinarietà del dono, è l’Unigenito del Padre, l’Amato, il Prediletto, che viene consegnato nelle mani degli uomini.

Questa domenica incominciamo a leggere il vangelo di Marco, che ci accompagnerà in tutto questo anno liturgico, il B. Dopo i primi 13 versetti, che tutti riconoscono essere il prologo a tutto il racconto, Marco inizia a narrarci la storia di Gesù. Lo fa partendo da dopo il battesimo, mettendola in continuità/discontinuità con la storia di Giovanni Battista, e all’inizio della predicazione del Signore ci dà come l’esempio, un saggio, di una sua “giornata tipo”. Lo sviluppo di questa giornata lo seguiremo passo dopo passo in queste prime domeniche. Ma oggi, proprio all’inizio del suo ministero, risuona questa prima parola di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo”.

Fiumi di inchiostro -basta vedere un qualunque commentario biblico- sono stati versati su queste parole, che così troviamo solo nel secondo vangelo e che sono così ben costruite al punto da formare una vera e propria espressione programmatica, come un condensato di tutta quanta la predicazione di Gesù. Qui ci basta dire che sono il punto d’arrivo, il vertice di una lunga storia, quella consapevole di Israele e quella inconsapevole di tutta l’umanità, una storia di salvezza che ha per protagonista la misericordia di Dio e la ritrosia dell’uomo a lasciarsene avvolgere.

Avendo compreso  tutto questo san Paolo può dire quello che abbiamo ascoltato nella prima lettera ai Corinzi: “Questo vi dico, fratelli, il tempo si è fatto breve”, che è un po’ come dire che “il tempo è compiuto”, cioè che la lunga attesa è terminata e il dono di Dio, la sua misericordiosa offerta di salvezza nel Figlio, è lì, davanti a noi, attende solo di essere accolta. E’ quello che fanno Pietro e Andrea e subito dopo i due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni: alla chiamata di Gesù non si soffermano a pensarci su e addirittura neanche gli rispondono, ma “subito, lasciarono le reti e lo seguirono”. Non c’è commento migliore alla dichiarazione programmatica di Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo”, che l’immediatezza di questa sequela. Ci dice che di fronte al dono di Dio che in Gesù ci è rivelato, altro non possiamo fare che lasciare tutto e seguirlo, avendo anche solo intuito che con lui e in lui è offerta una pienezza di vita finalmente salvata, vale a dire libera e buona.

Questo, agli occhi di Dio, basta: come ha usato misericordia agli abitanti di Ninive, così a maggior ragione può continuare ad avere misericordia di noi e continuare a salvarci. Anche se sa bene chi siamo, sa che anche noi, come questi primi quattro discepoli, all’entusiasmo iniziale facciamo seguire esitazioni, dubbi, cambiamenti di direzione, addirittura rinnegamenti. Basta accettare il dono e continuare, come si può, a seguire Gesù.