È uscito da pochi giorni un libro francese (A. BROT, Giorgio La Pira. Un mistique en politique, Desclée de Brouwer) che –primo in quella lingua- ricorda Giorgio La Pira (1904-1977). Questo ci dà l’occasione per presentare questo straordinario laico domenicano.

Giorgio La Pira è stato una figura singolare nel panorama politico italiano, da alcuni considerato un santo, da altri un ingenuo oppure un provocatore: fu deputato, sottosegretario al lavoro, sindaco di Firenze e soprattutto instancabile ambasciatore di pace.
La Pira è stata una figura originale, un uomo libero che agiva secondo la sua coscienza, senza preoccuparsi delle reazioni che provocava e disinteressato completamente alla “carriera politica”. D’altronde per lui la politica non era una scelta ma un obbligo. ”Sono sempre stato costretto a impegnarmi in politica: a fare il deputato costituente, il deputato, il sotto segretario, il sindaco e adesso di nuovo il deputato” scriveva nel 1959 a Giovanni XXIII. “Sono sempre stato forzato, con autorità, a entrare nelle liste per le elezioni municipali o legislative, forzato a svolgere un’attività in un certo modo contraria alla mia natura”. Questo professore di diritto romano non ha mai tratto profitto dall’attività politica ma è sempre vissuto molto sobriamente (non ha mai posseduto una casa, viveva in una cella del convento fiorentino di San Marco o nella camera di una clinica, e ha trascorso gli ultimi anni in una stanza di un ostello per la gioventù) praticando sempre un’elemosina data a piene mani ai poveri della sua Firenze. “Bisogna entrare in politica con due soldi e uscirne con uno solo”, diceva.
Il suo impegno per la pace si concretizzò in impegni, viaggi, incontri. Qualche mese dopo la sua elezione a sindaco, nel 1952, annunciò il primo congresso per la pace e la civilizzazione cristiana. Era convinto che Firenze, a motivo della sua storia e del suo patrimonio artistico, era chiamata a favorire l’intesa fra gli uomini.
Alla base dell’impegno politico e dell’opera di pace c’era la fede cristiana di un uomo che viveva la duplice appartenenza (aveva una speciale dispensa) di terziario domenicano e di terziario francescano. La sua vita di preghiera nutriva la sua indefettibile speranza; questa speranza è alla base della sua concezione della storia in cui Dio è visto come il lievito che provoca la responsabilità che è tutta dell’uomo. “La realtà storica è insieme opera di Dio e opera dell’uomo. Dio è l’alfa e l’omega della storia, la causa prima e quella ultima. Ma è una causa che non ostacola la libertà dell’uomo il quale a sua volta non è esentato dal collaborare con la Provvidenza”, dichiara questo lettore di san Tommaso, di Maritain, di Blondel e di Mounier annunciando il quinto congresso per la pace nel 1956.
Questa personalità accattivante, di cui è in corso il processo di beatificazione fin dal 1986, non ha certo conosciuto solo successi. La sua volontà di dialogo –compreso quello con i comunisti dell’URSS o del Vietnam- la sua convinzione che la storia “procedeva inevitabilmente e irresistibilmente verso la pace e l’unità”, non sono state sempre capite e si sono a volte ritorte contro di lui. Dopo un viaggio ad Hanoi fu oggetto di una violenta campagna di stampa. Subì il disprezzo e l’incomprensione anche di alcuni membri della gerarchia ecclesiastica, ma seppe vivere queste prove nella fede. “È durante la notte che è bello credere nella luce: bisogna forzare la nascita dell’aurora”, ripeteva citando Edmond Rostand.
La Pira è stato un profeta? Senza dubbio, se si pensa alla definizione del Vaticano II per cui il profeta non è colui che predice il futuro ma colui che richiama la fedeltà all’alleanza, che spiega il senso degli avvenimenti e, in nome della parola di Dio, rifiuta un ordine fondato sull’ingiustizia. Un bel programma per il cristiano impegnato in politica, irrealizzabile senza una profonda vita spirituale.