Luciano Cinelli O.P.

IL MEDIOEVO (SECOLI XIII E XIV)
Fin dagli inizi del suo apostolato san Domenico mostrò sempre una particolare sensibilità per l’evangelizzazione dei popoli più lontani, soprattutto dei Cumani, identificabili con i Turchi Qupcaq, che abitavano la regione settentrionale prospiciente il Mar Nero. Tale fu il suo zelo missionario da portarlo a progettare un viaggio nelle brumose lande della Prussia insieme a fra Guglielmo di Monferrato, una volta che questi avesse concluso i suoi studi a Parigi.
Purtroppo però, pressato dai numerosi impegni legati alla condizione di fondatore di un Ordine sempre più in crescita, Domenico si era visto costretto a rinviare più volte i suoi progetti missionari; spettò ai suoi seguaci realizzare il suo disegno evangelizzatore, particolarmente verso l’oriente musulmano, percepito come una minaccia dall’occidente cristiano.

LA NASCITA DELLA PROVINCIA DI TERRA SANTA
I successori di san Domenico, Giordano di Sassonia, Raimondo di Penafort, Giovanni il Teutonico e Umberto di Roman impressero un particolare impulso all’attività missionaria.
Al capitolo generale tenutosi a Parigi nel 1228, l’immediato successore di san Domenico alla guida dell’Ordine, Giordano di Sassonia, lanciò un appello affinché gli si indicassero frati disposti a recarsi nella nuova provincia di terra santa, eretta proprio in questa occasione, per essere preparati adeguatamente in vista del delicato apostolato presso i seguaci di Maometto.
Probabilmente la nuova provincia, cui apparteneva anche l’isola di Cipro, comprendeva ben 18 conventi, almeno secondo la notizia tramandataci dal domenicano Stefano di Lusignano. Purtroppo ci sono state tramandate notizie esclusivamente dei conventi di Betlemme, di Nazareth, di Damasco, di Acri, di Tripoli, di Gerusalemme e di Antiochia.

Principali conventi della provincia di terra santa

Marocco
Sembra che nel 1225 già esistesse un convento in Marocco. In quell’anno infatti papa Onorio III diede il suo sostegno a fra Domenico, da poco designato priore, e a fra Martino, dietro la loro richiesta di essere inviati in quei luoghi con uno specifico mandato. L’operato di questi primi missionari ebbe un successo sufficiente a motivare da parte del pontefice l’invio di due nuovi frati, un francescano e un domenicano, per lavorare presso i Saraceni, considerati «eretici ed apostati». Il 27 ottobre del 1225 fra Domenico, priore della missione domenicana in Marocco, fu nominato vescovo del Marocco a riconoscimento per il suo zelo pastorale. Si ignora se il vescovo morì di morte naturale o ucciso dagli infedeli.
Il papa concesse un anno più tardi ai domenicani e ai francescani dei privilegi rari al XIII secolo, e cioè la dispensa dall’abito e dalla tonsura, per facilitare il loro ministero ai confini della cristianità e svolgere un apostolato discreto ed efficace presso i prigionieri. Infatti le rigide leggi islamiche vietavano ai cristiani qualsiasi tipo di propaganda.
Al 1228 risale la fondazione del convento di Acri, località importantissima dal punto di vista strategico, con la sua funzione di cerniera tra l’occidente e la terra santa. Secondo la testimonianza del patriarca di Gerusalemme Geroldo, il quale era contrario alla politica eccessivamente irenica dell’imperatore Federico II in terra santa, sia i minori che i domenicani venne ro minacciati dall’imperatore per aver predicato contro di lui la domenica delle Palme del 1229. Il 19 febbraio dello stesso anno, però, sembra che i domenicani avessero assistito, in rappresentanza del patriarca di Gerusalemme, alla pace tra Federico II e il sultano El-Kamil.
Questa notizia conferma l’esistenza del convento già a quella data. In questo convento venne tumulato il corpo del beato Giordano di Sassonia, morto naufrago durante il viaggio di ritorno in occidente, dopo la sua visita alla provincia di terra santa. Il 19 maggio 1291 la città cadde in mano ai Saraceni, il convento venne distrutto e, secondo la testimonianza del domenicano Ricoldo di Monte- croce (1243-1320), circa trenta frati trovarono la morte.

Tripoli
Il convento di Tripoli compare citato per la prima volta in un contratto stipulato fra i legati papali e il patriarca Alberto di Antiochia con Boemondo IV nel palazzo vescovile di
Antiochia. In calce al documento, accanto alla firma di un francescano, compare la sottoscrizione del priore del convento domenicano di Tripoli, fra Roberto. Questo dato fa supporre che a quest’epoca la presenza domenicana in quella città fosse già consolidata. Stando al verbale dell’elezione del 1° ottobre 1280, la comunità di Tripoli risultava composta di otto frati.
La conquista di Tripoli da parte del sultano Kilawun il 27 aprile 1289, comportò la fine della presenza domenicana nella città. I frati, quando non furono fatti prigionieri, subirono una morte violenta. Il capitolo generale di Ferrara nel 1290 ordinò che ogni sacerdote dell’Ordine celebrasse tre messe in suffragio dei frati martiri di Tripoli.

Gerusalemme
A Gerusalemme i domenicani giunsero con molta probabilità tra il 1229 e il 1244. Lo si deduce dalla narrazione di Ricoldo di Montecroce riguardo al luogo in cui i frati avevano dimorato in precedenza, ma anche dal racconto del provinciale domenicano Filippo a Gregorio IX, in occasione della venuta nella città santa del patriarca dei Giacobiti orientali. Dalle parole di Filippo si evince che egli aveva già da un po’ di tempo la sua residenza a Gerusalemme. Nella relazione dei legati papali e dei patriarchi ad Innocenzo IV sull’invasione dei mercenari del sultano egiziano Ayyub (luglio 1244), possiamo reperire una chiara attestazione della fama e della considerazione di cui godevano i frati.
Il Maestro dell’Ordine Umberto di Roman, dopo la rinuncia al suo mandato nel 1263. aveva rifiutato anche di assumere il patriarcato di Gerusalemme. Il primo Domenicano ad assumere tale dignità fu Tommaso Agni da Lentini, il primo biografo di san Pietro Martire. Dal 1258 era vescovo di Betlemme; nominato legato papale per la Siria nel 1259, svolse questa delicata missione fino al 1263. Ritornato in Italia per un breve periodo, Tommaso assunse il patriarcato di Gerusalemme nel 1272 e morì ad Acri nel 1277. Papa Niccolò III. allorquando dovette nominare il suo successore, pensò all’allora in carica Maestro Generale Giovanni da Vercelli, che però rinunciò. L’ultimo patriarca a risiedere stabilmente in terra santa fu il domenicano Niccolò di Hanapes, che trovò la morte durante la presa di Acri nel 1291. Nel 1322, il re d’Aragona Giacomo II chiese al sultano la custodia e l’amministrazione del santo sepolcro in favore dei frati predicatori del suo regno, ma non gli fu concesso.

Antiochia
La presenza domenicana ad Antiochia è precedente al 1264. Infatti in calce ad un documento dell’8 agosto di quell’anno compaiono le sottoscrizioni dei frati domenicani Gilberto di Alvemia e Giovanni di Spagna.
Nel 1268, il sultano Bibars conquistò la città e i frati domenicani coronarono con il martirio la loro missione evangelizzatrice in quei luoghi. Ad Antiochia il primo patriarca domenicano fu un certo fra Elia (1245), di cui sappiamo solamente il nome; in effetti, la sequenza dei primi patriarchi della città è avvolta nell’oscurità, essendo frequenti i casi di patriarchi di cui si ignora il nome. Poco sappiamo della figura del patriarca domenicano Cristiano-Stefano, che trovò la morte nel 1268; tuttavia, la sua esistenza non può essere messa in discussione, dal momento che la fonte che ce ne ha tramandato la memoria, Stefano di Salanhac, è sempre abbastanza attendibile.

DAI MUSULMANI AI CRISTIANI ORTODOSSI: IN PERSIA NEL SULTANIYAH
L’attività missionaria dei Domenicani e degli altri ordini mendicanti in Africa settentrionale e nel Medio Oriente non produsse risultati duraturi. In Africa, essa si limitò alla cura d’anime dei soldati, dei commercianti e degli schiavi cristiani. I papi e le città cristiane interessate mirarono ad ottenere dai sultani una limitata libertà di culto per i fedeli che vivevano nei loro regni, dove rimase sempre proibito predicare il vangelo ai seguaci di Maometto.
Al contrario, risultati apprezzabili vennero conseguiti dai missionari tra i cristiani scismatici del Medio Oriente, poiché l’azione missionaria presso di loro era considerata un primo passo per la predicazione ai musulmani.
Nel 1318 il pontefice Giovanni XXII istituì la provincia ecclesiastica del Sultaniyah, in Persia (l’attuale Iran), affidandola ai domenicani e affiancandole sei centri suffraganei.
L’apostolato dei domenicani era diretto principalmente verso gli armeni scismatici, nello sforzo di ricongiungerli alla Sede Apostolica.
A questa provincia ecclesiastica, appartennero anche due diocesi situate fuori del suo territorio: Samarcanda, nel Khanato di Chio, il cui primo vescovo fu il domenicano fra Tommaso Mancasole di Piacenza e Quilon (Colombo) nell’India meridionale, il cui primo vescovo fu un altro domenicano, Giordano Cathala di Sévérac. Delle due province di Sultaniyah e di Khambaliq abbiamo le ultime dettagliate notizie da un rapporto di viaggio del legato pontificio Giovanni da Marignolli di Firenze, che dal 1338 al 1353 visitò tutta la cristianità dell’Asia.
Negli ultimi decenni del medioevo l’opera missionaria dei domenicani subì una battuta d’arresto non per la caduta dello zelo, quanto per la diminuzione degli effettivi in seguito alla peste nera, che falcidiò dal 1348 i missionari di Persia, oltre i frati dei conventi europei, rendendo così impossibile garantire un adeguato numero di missionari nei paesi lontani. Un’altra difficoltà fu rappresentata dalla progressiva e continua islamizzazione dei Mongoli, perseguita da Tamerlano (Temur Làng, 1335-1405), scatenando in Asia guerre sanguinose, che resero impossibile per un’intera generazione qualsiasi viaggio missionario in quelle regioni.

LA RIFLESSIONE DOMENICANA SUI METODI MISSIONARI
Gli insuccessi a cui spesso andarono incontro i frati missionari a causa della mancanza di preparazione per l’apostolato presso gli infedeli, offrirono lo spunto per una riflessione metodologica da parte dei maggiori esponenti dei due maggiori ordini mendicanti. Per i domenicani, scesero in campo Guglielmo da Tripoli e Ricoldo di Montecroce.
Guglielmo da Tripoli Guglielmo nacque probabilmente a Tripoli e fu autore del trattato De statu Saracenorum, composto fra il 1271 e il 1273 in vista del concilio di Lione II (1274) e frutto della sua esperienza missionaria presso i Saraceni. Con questo scritto intendeva fornire ai missionari alcune indicazioni per l’azione missionaria. In particolare osservava che nel dialogo con i musulmani occorreva far leva su alcuni elementi presenti nel Corano, quali le lodi tributate a Cristo, l’elogio dell’Antico Testamento, la superiorità di Cristo sui profeti ecc. per annunciare il vangelo con una certa forza di persuasione. Inoltre sosteneva che la discussione su alcuni dogmi come la SS. Trinità e l’Incarnazione, poteva consentire di avvicinare maggiormente cristiani e musulmani, tanto più che i saggi saraceni amavano particolarmente la speculazione razionale.

A proposito della formazione, Guglielmo raccomanda l’apprendimento della lingua e l’acquisizione della mentalità, insieme all’impiego dell’arma della disputa, allora particolarmente in voga, piuttosto che il ricorso al martirio, forma di testimonianza non perfettamente comprensibile ai pagani. La conoscenza della lingua, dei costumi e della mentalità dei saraceni sono i pilastri su cui fondare l’evangelizzazione di questi popoli, secondo Guglielmo.
Alla fine del suo Tractatus l’autore dichiara di aver convertito più di mille saraceni, solamente con la semplice predicazione della parola di Dio, senza ricorrere né alla forza delle armi, né alle dimostrazioni filosofiche.
Ricoldo di Montecroce
Ricoldo di Montecroce invece, sia nel suo Libellus ad nationes orientales, sia nel suo Contro legem Saracenorum (o Confutatio Alcorani), che nelle sue lettere, mostra una visione meno irenica, meno incline al dialogo rispetto a quella del suo confratello Guglielmo.
Nato a Firenze nel 1243, Ricoldo (o Riccoldo) nel 1267 fece la sua professione nell’ordine dei predicatori nel convento di S. Maria Novella. Dopo aver vissuto nei conventi domenicani di Prato (1272) e di Pisa (1287), da qui partì per Acri con l’appoggio del Maestro dell’Ordine fra Munoz de Zamora. Apprese la lingua araba e studiò la teologia islamica. Giunto in Turchia insieme ai suoi confratelli della Società dei Frati Peregrinanti (1289), da lì passò in Mesopotamia e in Persia, a Bagdad (1291). Morì nel 1320.
Nel suo Libellus ad nationes orientales Ricoldo fornisce ai missionari cinque “regole d’oro”:
1) evitare di predicare ricorrendo ad un interprete, incapace solitamente di rendere con la dovuta chiarezza gli argomenti dei missionari;
2) conoscere approfonditamente la sacra scrittura, evitando i commenti (expositiones) allora tanto in voga;
3) acquisire una approfondita conoscenza della teologia cristiana orientale, informandosi sulle variegate posizioni dottrinali delle varie sette, senza affrettarsi in giudizi temerari circa la loro ortodossia o eterodossia; del resto, con i cristiani orientali, l’essenziale era la concordia sulle proposizioni di fede, al di là della diversità di rito:
4) aver cura di disputare con personaggi di spicco della cultura del paese in cui si è inviati in missione, per evitare di suscitare scandalo nel comune fedele, solitamente poco versato nelle questioni dottrinali;
5) agire sempre per amore di Dio e per la salvezza delle anime e non per il desiderio di mera affermazione personale.

LE MISSIONI DOMENICANE NELL’ORIENTE ISLAMICO TRA XV E XIX SECOLO
Tra la fine del sec. XIV e gli inizi del sec. XV, le barriere fra l’islam e l’Europa cristiana si ampliarono verso l’Asia centrale. 11 29 maggio 1453, Costantinopoli cadde in mano a Maometto II il Conquistatore, dopo un estenuante assedio; l’ultimo imperatore d’oriente Costantino IX era morto in battaglia, onorando in tal modo i suoi illustri e più famosi predecessori.
La caduta della città significò moltissimo: da una civiltà cristiana, in oriente si passa ad una cristianità in cattività. Comunque il sostegno dei papi alle missioni domenicane in oriente, almeno fino agli anni settanta del secolo XV, è attestato dai vari documenti emanati dalla S. Sede per rinnovare i privilegi in loro favore. Tuttavia l’indebolimento delle potenze cristiane dinanzi all’avanzata turca rendeva sempre più fragile qualsiasi presenza missionaria.
Se nel XV secolo furono gli italiani a militare tra le fila dei missionari della provincia di terra santa, nel XVI secolo essi vennero affiancati dai frati della provincia del Portogallo I frati domenicani spagnoli invece si distinsero soprattutto nelle missioni nel nuovo mondo, sebbene fossero presenti anche nei paesi asiatici. In questo periodo, l’azione missionaria si estese dai Balcani fino alla Mesopotamia. Quando nel 1575 papa Gregorio XIII invitò i domenicani e i frati minori ad inviare missionari ben preparati nelle terre prospicienti il Bosforo, la missione domenicana a Pera, sobborgo di Costantinopoli, riprese vigore.
In margine all’azione missionaria in oriente, occorre menzionare un’istituzione voluta in Roma dal papa domenicano san Pio V: il Pontificio Istituto delle Missioni, finalizzati1 alla conversione dei giudei, in cui erano impegnati anche i gesuiti; a questo collegio, il cardinale Vincenzo Giustiniani lasciò alla sua morte nel 1581 una somma di 2000 scudi d’oro.
Anche nel XVII secolo, alcuni frati domenicani vennero elevati alla dignità episcopale come l’aretino fra Giacinto Subiano, che fu nominato vescovo suffraganeo del patriarca di
Costantinopoli e che nel 1652 ne divenne vicario. A Smime, nel 1625 ritornò un vescovo di rito latino, il domenicano Pietro de’ Marchi, originario dell’isola di Chio e già vescovo di Santorini. In questo periodo, la Congregazione d’Oriente, chiamata anche “costantinopolitana” eretta nel 1600, era formata principalmente dai frati italiani, affiancati da frati francesi riformati, ed aveva case a Costantinopoli, a Smime e Chio, convento distrutto dai Turchi nel 1695
Nel secolo successivo, il pontefice Benedetto XIV, per incentivare le missioni d’Oriente. con un breve del 10 luglio 1748, indirizzato al Maestro dell’Ordine Antonio Brémond, concesse che i domenicani missionari avessero come loro punto di riferimento in Roma il convento del SS. Rosario a Monte Mario. Nel sec. XVIII l’apostolato missionario giunse fino in Kurdistan, dove si distinse per impegno fra Leopoldo Soldini. La Congregazione d’Oriente alla fine del secolo perse slancio e vigore, in conseguenza anche degli eventi burrascosi europei che portarono alla soppressione dell’Ordine negli stati più importanti del continente.
Agli inizi del XIX secolo, lo slancio missionario dell’Ordine è limitato alle terre appartenenti ai regni di Spagna e di Portogallo. Nel 1850, il Maestro dell’Ordine Vincenzo Jandel cercò di ravvivare lo zelo missionario, sottolineando la necessità di un’accurata preparazione dottrinale e spirituale. Se agli inizi del secolo precedente a Costantinopoli erano stati i frati domenicani della Congregazione d’Oriente a portare avanti l’attività missionaria, dopo le persecuzioni turche del 1828 e dopo il monito di P. Ancorarli della Congregazione di Propaganda Fide (1829) ad incentivare la presenza cristiana in quei luoghi, spettò ai domenicani della Provincia piemontese di S. Pietro Martire ad assicurare la presenza domenicana nell’antica capitale dell’Impero d’Oriente.

CONCLUSIONE
Abbiamo cercato di delineare brevemente un profilo storico dei rapporti tra i Domenicani e il mondo islamico dal medioevo al XIX secolo: un’impresa non molto agile, considerando la ricchezza e la vastità delle implicazioni e degli eventi che hanno caratterizzato questa dinamica.
I contatti con l’islam nacquero già sotto l’insegna di una certa conflittualità, ma questo non impedì la ricerca e, a volte, anche l’attuazione, seppur effimera, di un proficuo dialogo. Spetta a noi domenicani di oggi continuare su questa linea, consapevoli che prima di ogni confronto sulla fede, occorre un reciproco sforzo di comprensione della cultura e della mentalità delle millenarie civiltà da cui sia noi che i nostri fratelli proveniamo. In fondo, il saggio consiglio di Guglielmo di Tripoli è tuttora valido.