1 aprile 2018

“Vide e credette”

Letture: At 10, 34a.37-43; Sal 117; Col 3, 1-4/1Cor 5, 6-8; Gv 20, 1-9

«Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.» (Gv 20, 8). Quando l’evangelista Giovanni racconta questo evento nel suo vangelo, si ritiene che siano trascorsi circa 40 o 50 anni da quella volta. Evidentemente fu un episodio di grande importanza per il quarto evangelista. E, tuttavia, che cosa vide? Un semplice segno: un sepolcro vuoto e i teli che avevano avvolto un corpo e il sudario lì, deposti da parte…Non il Cristo vivente, ma una tomba vuota…Tuttavia Giovanni seppe leggere, decodificare questo segno, scoprire in questa assenza una Presenza, quella di un Vivente. Alcune ora prima, si trovava ai piedi di una croce, testimone della morte del suo maestro amato Gesù e testimone del colpo di lancia. Più di chiunque altro, Giovanni ha interiorizzato le ultime parole dette da Gesù nel corso dell’ultima cena del giovedì sera. E quelle parole sono rimaste impresse nella memoria del suo cuore. Come gli altri discepoli, aveva fatto fatica a comprenderle; non aveva inteso che secondo le Scritture era necessario che Gesù morisse per risuscitare dai morti. Non sapeva, non vedeva…

Come il cristiano di ogni tempo, di ieri come di oggi: cosa sappiamo e cosa vediamo? La fede, afferma l’autore della lettera agli Ebrei, «è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Eb 11, 1), ma non per credere all’assurdo o per rifiutare di comprendere. Credere significa confidare, dare fiducia a Dio, saper leggere i segni della sua presenza nelle nostre vite. Le letture della Veglia pasquale hanno ricordato i segni di questa presenza di Dio nella storia dell’umanità, al tempo della creazione, dell’esodo, dell’alleanza, fino alla scena del sepolcro vuoto. Nella storia di ogni uomo e di ogni donna ci sono stati e ci saranno dei segni: siamo in grado di leggerli e di riconoscere, grazie ad essi, una Presenza amante e premurosa? Certo, di fronte a questi segni si può stare increduli e asserire assieme a Tommaso l’apostolo: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo» (Gv 20, 25). Tommaso ha visto, ha potuto toccare e ha creduto. Giovanni ha visto semplicemente il “segno” e ha creduto.

Nel giorno della Pasqua di Resurrezione è opportuno domandarsi: quali segni abbiamo disponibili oggi per credere alla resurrezione del Cristo? Almeno due. Prima di tutto il segno della parola di Dio, parola sempre vivente perché ha il volto di Gesù Cristo. Maria al momento dell’annunciazione si è fidata della parola dell’angelo e si è affidata ad essa: l’ha portata nel grembo, l’ha coltivata nel cuore e a lungo meditata. Infine, ha dato alla Parola una carne, la vita. Questa fedeltà alla parola certamente non l’ha risparmiata da momenti di dubbio, incomprensione, notte, ma la vergine santa ha proseguito a dimorare nella fede fino alla croce. Madre della Chiesa, l’intera sua vita benedetta trascorre dopo la Pasqua alla luce del Figlio risorto fino al giorno dell’Assunzione.

Il secondo segno è quello del Corpo eucaristico del Cristo e del suo corpo che è la chiesa: i due corpi non formano che una sola carne e comunicando al corpo eucaristico di Gesù si partecipa al suo corpo vivente che è la chiesa. Da duemila anni, questa chiesa, questa comunità di santi e peccatori, fragile e molto spesso perseguitata, confessa umilmente, con fede rinnovata che il suo Signore vive! E celebrando la sua Pasqua essa si nutre del suo Corpo e del suo Sangue per fare di tutti una cosa sola con lui, il Cristo vivente in eterno.

Infine, credere nella resurrezione non sopprime la sofferenza, le prove, il dolore e nemmeno l’ultimo nemico, la morte. L’importanza che tutti gli evangelisti danno al racconto della Passione di Gesù mostra con evidenza questo assunto…La resurrezione diventa credibile e diventa una buona notizia di salvezza – tale è il significato “vangelo” – a patto che si accetti e si accolga la verità della sofferenza e della morte redentrice di Gesù Cristo. Come non ricordare le parole di rimprovero dello straniero che appare improvvisamente e si mette a fianco dei due delusi e scoraggiati discepoli di Emmaus: «“Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.» (Lc 24, 25-27).

La bellissima colletta della messa del giorno prega: «O Padre, che in questo giorno, per mezzo del tuo unico Figlio, hai vinto la morte e ci hai aperto il passaggio alla vita eterna, concedi a noi, che celebriamo la Pasqua di risurrezione, di essere rinnovati nel tuo Spirito, per rinascere nella luce del Signore risorto». Che significa “essere rinnovati”? Significa fare spazio a un rinnovamento interiore dell’esistenza. Ciò esige che ciascun uomo si dislochi rispetto al proprio Io, non sia più ripiegato su se stesso ma intento a valutare come lo spogliarsi dell’uomo vecchio dev’essere la sua principale ragione della vita. E ciò esige che ci si doni liberamente ad un Altro per la verità, per l’amore, per Dio che in Gesù Cristo precede e indica il cammino. Si tratta di una scelta tra il vivere unicamente e solipsisticamente per se stessi o fare di sé un dono agli altri.

Gesù ci precede in Galilea, ci precede, cioè, sul cammino della vita e dice a ciascun discepolo di ieri e di oggi: Vieni e seguimi! Ma soggiunge anche: «Va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”» (Gv 20, 17).