Gesù Cristo, la porta delle pecore

3 maggio 2020

LETTURE: At 2,14a.36-41; Sal 22; 1Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

La tentazione è di isolare la lettura evangelica e di farne un assoluto, cominciando a ragionare con categorie nostre sul Buon Pastore. In realtà il tenere conto della sua collocazione nello schema giovanneo permette un salto di qualità: la pericope è inserita nella permanenza di Gesù alla festa delle Capanne con inizio in Gv 7 ed è preceduta da un diffuso insegnamento di Gesù che qualifica se stesso come datore dello Spirito sotto l’immagine di acqua viva nonché come luce del mondo ed esistente “prima di Abramo”; segue il miracolo della vista al cieco nato e subito dopo inizia la nostra pericope. Lette in tale contesto, le parole di Gesù sono parole di grande rivelazione e l’uscire/entrare e il dentro/fuori si ricollegano al cieco nato buttato fuori dalla comunità dei farisei ma accolto nella comunità dei discepoli di Gesù.

Il testo si presenta con due sezioni che iniziano con: «In verità, in verità io vi dico» (vv. 1.7). Nella prima l’immagine resta enigmatica, nella seconda viene chiarita in Gesù Cristo.

Il titolo liturgico parte da tale chiarimento e mette in evidenza l’affermazione decisiva: «Io sono la porta delle pecore». La “porta” di fatto è la porta del recinto delle pecore o dell’ovile. Ora recinto/ovile sono resi in greco con il termine “aulè”, da cui l’italiano “aula”, che denota uno spazio di un certa dignità. Ed infatti nel greco del primo Testamento “aulè” denota i cortili del tempio, addirittura il cortile interno, e chi ha pazienza potrà consultare con frutto i seguenti rimandi: Es 27,9; 40,33; 1Re 6,36; Ez 8,16; 10,3-4; 40,47; 43,5; 44,21.27 ecc. In questo senso Gesù è pastore, in quanto è la porta che introduce nel vero tempio, nella sua stessa persona dove avviene il vero culto. È una interpretazione discutibile ma possibile.

Il vangelo va inoltre collocato in riferimento a Ez 34, al quale il Signore Gesù dà compimento accentuando alcune prerogative che risultano essenziali nel rapporto Cristo/fedele: entrando e uscendo per Cristo si trova la salvezza (v. 9); misteriosamente è dato alle pecore un “istinto” per riconoscere la voce del Signore (vv. 3-5.8) e l’attualizzazione spiegherà che tutti i battezzati hanno questo istinto attraverso il battesimo e il dono dello Spirito nella cresima, non lo possono cancellare, ma lo possono attenuare con il peccato e la dimenticanza di Gesù Cristo; si instaura un rapporto personale tra il fedele e Gesù Cristo che chiama le pecore «ciascuna per nome» (v. 3) e anche qui bisognerà insistere sulla… “presenza reale” di questo rapporto, che non elimina l’assemblea e la ministerialità umana, ma che non è cancellato da questi due fattori, anzi talvolta è proprio grazie a questo rapporto personale che si continua a seguire Gesù Cristo nonostante certe assemblee e certi ministri…

La prima lettura è la conclusione del discorso della Pentecoste e il titolo non può che evidenziare la “posizione” definitiva di Gesù: «Dio lo ha costituto Signore e Cristo». Il testo originale prosegue con «quel Gesù che voi avete crocifisso» (v. 36), creando una contrapposizione positiva tra l’azione di Dio e quella degli uomini. Nella lettura è rimarchevole anche il risvolto pratico: gli uditori si sentono trafiggere il cuore e domandano: «Che cosa dobbiamo fare?» (v. 37), domanda che, come per il Battista (cf Lc 3,10-14), è la prova del nove della buona riuscita della predicazione (la reazione sconfortante e contraria è in At 17,32: «Su questo ti sentiremo un’altra volta!»). Buono anche l’equilibrio tra l’azione di Pietro predicatore e l’azione di Dio con i “passivi”: «si sentirono trafiggere… quanti ne chiamerà il Signore… furono aggiunte circa tremila persone» (vv. 37.39.41): in prima e ultima istanza è Dio che chiama, che converte, che porta al battesimo, che aggrega alla Chiesa ecc.

Nella seconda lettura il titolo «Siete stati ricondotti al pastore delle vostre anime» va collocato nello sfondo di Ez 34 e ovviamente del vangelo.

Se si resta nella pura esegesi e nel presente storico delle Scritture in relazione al loro passato, tutto fila liscio. Ma se si tenta l’attualizzazione cominciano i guai, che qui non saranno risolti ma solo segnalati: quale è la «generazione perversa» (At 2,40) di oggi dalla quale salvarsi? Chi sono oggi gli uomini e le donne «erranti come pecore» (1Pt 2,25)? Chi sono oggi i ladri, i briganti, gli estranei (cf tutto il vangelo)? Qui le omelie “politicamente corrette” rischiano di saltare in aria!

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