Venezia.

Ancora una volta un manipolo di assidui ragazzi della Gioventù Domenicana si è radunato presso il convento dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, nella giornata del 6 gennaio 2017. La formazione è classica: due sere, condite con una ponderata proiezione cinematografica e un giorno intero di incontri. Il primo è stato: “Relazione e la comunicazione in vista del dialogo”, tenuto da un brillantissimo Simone Tommasini; nell’altro, sulla preghiera, anch’io ho portato il mio contributo. È stato davvero un provvido incrocio di argomenti. Appena la sera prima guardavamo “Warrior” di Gavin O’Connor che compone un mirabile mosaico con le feroci Mixed Martial Arts e i rapporti familiari fra padri, figli e fratelli che possono conoscere antagonismi più sottili di quelli sul ring e capaci di trasformare i legami più stretti in un logorante gomito a gomito. Ognuno dei personaggi, tranne la magnifica figura del padre, ha il cuore serrato a pugno. Tutto questo per una reale mancanza di dialogo.
Del resto, ci ha detto Simone, il dialogo implica due componenti inderogabili: un contenuto da comunicare, una relazione in cui si comunichi. Quando quest’ultima è incrinata, anche il dialogo si sgretola. È una verità inderogabile, come aveva già intuito il card. Newman nel suo celebre motto: “Cor ad cor loquitur”: il cuore parla al cuore. Sradicato il cuore, il logos rimane un fiore senza vaso. La condizione fondamentale, dunque, è la relazione che come tale è anche il fattore più complesso.
Simone, dunque, ci ha consigliato di mantenere sempre un atteggiamento adulto nel dialogo, perché assumerlo lo induce nel prossimo. Quindi ha concluso riflettendo come questo sia un aspetto proprio e riccamente sviluppato nella Chiesa cattolica. Perché? Perché insegna a vedere il destino di ogni uomo aperto sino al suo ultimo giorno, perché chiunque può convertirsi in ogni momento, a prescindere da qualsiasi situazione. Un uomo potrebbe spalancare gl’occhi a Dio nell’estremo minuto della sua vita e in forza della Grazia superare in splendore lo stesso sant’Agostino e la cosa ancora più consolante è che Agostino ne sarebbe solo felice.

Uno scorcio sulla preghiera

In seconda battuta, la sera ho aiutato padre Massimo, responsabile della Gioventù Domenicana di Venezia, a tenere l’incontro e abbiamo parlato della preghiera: anche pregare Dio implica una relazione con Lui e quindi dinamiche analoghe a quelle con il prossimo, che è immagine di Dio. Spesso noi non ci sentiamo ascoltati ed esauditi nella preghiera, ci pare di vociare invano. Ma non è così. Da un lato bisogna avere stima della propria preghiera: siamo figli di Dio e abbiamo perciò un particolare ‘ascendente’ su Dio, anche se siamo fragili e infedeli. Del resto è morto per te, vuoi che non ti ascolti? Dall’altro, Dio è realmente onnipotente, può tutto. Non solo, come insegna sant’Agostino, l’Altissimo è più intimo a noi di noi stessi, ci conosce più di quanto noi ci potremmo mai conoscere. Quando noi formuliamo una richiesta nella preghiera, traduciamo il cuore, diamo un volto al desiderio. Ma come insegna un antico adagio, tradurre è tradire: il più delle cose che vogliamo non ci soddisfanno, non erano quelle che volevamo davvero. Quando domandiamo all’Altissimo, dobbiamo ricordarci che lui sonda realmente il nostro desiderio, comprendendolo totalmente: allora la preghiera non è più una sorta di gettone mistico per un gigantesco distributore automatico di favori, ma diventa meraviglia e scoperta. Si domanda e si attende di scoprire da Dio ciò che volevamo davvero, ciò che siamo davvero. Si aspetta che Dio ci riveli a noi stessi, sveli, cioè, l’uomo all’uomo (Gaudium et spes 22).
Alla fine? Ovviamente un magnifico film: abbiamo così concluso con l’intramontabile “Codice d’onore” di Jack Nicholson, Tom Cruise e Demi Moor per ripartire l’indomani in attesa del prossimo incontro.
Fra Pietro Zauli