La chiave della compassione

Introduzione
“Il cuore che Dio unisce a questa nostra miseria morale è il Cuore di Cristo, suo Figlio amato, che batte come un solo cuore con quello del Padre e dello Spirito. Ricordo quando Pio XII ha fatto l’Enciclica sul Sacro Cuore, ricordo che qualcuno diceva: “Perché un’Enciclica su questo? Sono cose da suore…”. È il centro, il Cuore di Cristo, è il centro della misericordia. Forse le suore capiscono meglio di noi, perché sono madri nella Chiesa, sono icone della Chiesa, della Madonna. Ma il centro è il cuore di Cristo. Ci farà bene questa settimana o domani leggere Haurietis aquas. “Ma è pre-conciliare!” – Sì, ma fa bene! Si può leggere, ci farà molto bene! Il cuore di Cristo è un cuore che sceglie la strada più vicina e che lo impegna. Questo è proprio della misericordia, che si sporca le mani, tocca, si mette in gioco, vuole coinvolgersi con l’altro, si rivolge a ciò che è personale con ciò che è più personale, non “si occupa di un caso” ma si impegna con una persona, con la sua ferita”.2

I) Il Costato trafitto
Il Cuore di Cristo, inscindibilmente legato al Cuore della Madre, in una compartecipazione particolare d’amore salvifico, diventa per la Chiesa, sequela e missione. L’insieme della Scrittura riguardante il mistero di Cristo, ci pone dinnanzi ad un’unica scena con due approfondimenti particolari:
a) la prima, muove dalla scena del Costato di Cristo trafitto, quale viene riportata dal vangelo di Giovanni (19, 31-37) e ne medita i vari aspetti che si possono presentare al cuore del credente. Nel corso dei secoli questa contemplazione ha messo in luce le grandi ricchezze suggerite dai numerosi simboli presenti nel racconto giovanneo: la ferita al costato, il sangue e l’acqua, l’elevazione sulla Croce. I Padri hanno così potuto parlare sia del mistero della Chiesa che nasce dall’effusione del sangue e dell’acqua sia dei sacramenti dell’eucarestia e del battesimo.
b) la seconda, apparsa più tardi, si fissa ugualmente sulla scena del Costato trafitto, ma considerandola sotto un’angolatura quasi esclusiva. Qui il Costato trafitto rimanda ad una realtà interiore, non espressamente indicata dall’evangelista, ma che ne contiene il significato essenziale: il Cuore di Cristo. Tale prospettiva è stata sottolineata in particolare da Santa Magherita e dal movimento di devozione che n’è scaturito e che la Chiesa ha voluto riconoscere come oggetto di un culto ufficiale3.

II) Il simbolismo del Cuore di Cristo
Il Cuore di Cristo rimanda alla Persona del Verbo incarnato. È chiaro però che tale riferimento richiede la considerazione della finalità redentrice dell’incarnazione. Non dobbiamo dimenticare che il Cuore di Cristo è trafitto sulla Croce, quando la morte è già avvenuta e quindi quando si trova compiuta la Passione-Sacrificio: “Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco e subito ne uscì sangue ed acqua” (Gv 19, 33-34). Questo particolare aspetto pone un’attenzione specifica: non si tratta più principalmente del culto al Cuore di Cristo (come elemento singolo), quanto del significato per noi della contemplazione del Cuore trafitto (atto redentivo).
Nei capitoli 13 -17, san Giovanni ha messo in luce il significato profondo della Passione: è un atto d’amore (in finem dilexit eos), di servizio (lavanda dei piedi), di donazione totale (amicizia-comunione Gv 15,13), di consacrazione orante (Gv 17). Notiamo in modo particolare come nella preghiera sacerdotale di Gesù si manifestino i pensieri del Cuore: infatti ogni preghiera autentica esprime il desiderio del cuore. Non è soltanto un intellettivo o un atto di libertà, ma l’espressione della persona nel suo centro intimo. è il non-appartenersi per amore, in quanto “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”(Gal 2,20), “abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo” (Fil 2,5), scoprendosi realmente libero nel dono di se stessi 4.
III) Il peccato e la Grazia: l’amore riparatore
Inoltre, il Cuore trafitto del Cristo e il mistero della sua redenzione salvifica a nostro favore, svela tutta la drammaticità del peccato. Il suo sacrificio è stato lo strumento della nostra liberazione. Il racconto giovanneo della Passione vuol mettere in rilievo questo carattere volontario della morte di Cristo (Gv 18,4-8), come fa, nei sinottici, il racconto della cena eucaristica e l’apostolo Paolo alla Chiesa di Corinto5. In virtù del sacrificio di Cristo offerto al Padre a nome dell’umanità viene distrutta la potenza del peccato: il principe di questo mondo è già stato giudicato e gettato fuori. In tal modo è riparata l’opera del peccato, l’umanità è redenta, riunita a Dio, nuovamente in possesso della vita eterna.
Essendo l’amore di Dio per noi storicamente un amore redentore, non si può distinguere realmente l’amore che si rivolge a Dio da un amore riparatore: ogni amore rivolto al Padre mediante Cristo è riparatore del peccato6. Ciò è tanto più evidente nella spiritualità del Cuore di Cristo, in quanto questo Cuore è ferito a causa dei nostri peccati. Tale carattere riparatore di ogni atto di amore soprannaturale non significa però che ogni coscienza amante abbia l’intenzione attuale e chiara di offrire una riparazione, ma che, ogni atto di amore distrugge o indebolisce il mondo del peccato in noi e nel mondo. La spiritualità del Cuore di Cristo come tale ha come funzione specifica di destare la coscienza della riparazione e di compierne gli atti. E qui vi è l’aspetto più intimo e quindi più delicato della riparazione: la partecipazione affettiva, ossia la compassione.

La compassione di Cristo
Quale senso ha il voler consolare Cristo? Notiamo subito come tale nozione presupponga una vita spirituale “presa sul serio”, unita a Cristo nell’ordine dell’affetto: “Dammi un cuore che ama e saprà ciò che dico. Dammi un cuore anelante, un cuore affamato, che si senta pellegrino e assetato in questo deserto, un cuore che sospiri la fonte… e saprà ciò che dico”7. La compassione presuppone il senso della co-presenza alla sofferenza del Cuore di Cristo attraverso nostra partecipazione affettiva. Tale contemporaneità è resa possibile dal fatto che Cristo ha assunto (e redento) tutte le sofferenze recategli dal peccato dell’uomo di ogni tempo, chiamando i suoi ad una compartecipazione reale: “completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24)8.

I) Ai piedi della Croce
Nella “Storia di un’anima” di Santa Teresina vi leggiamo un passo interessante: “Una domenica, guardando una fotografia di Nostro Signore in Croce, fui colpita dal sangue che colava da una delle sue mani Divine. Provai una grande pena al pensiero che quel sangue colasse a terra senza che nessuno si desse pena di raccoglierlo e risolsi di restare in piedi della Croce per ricevere la Divina rugiada che ne colava e che – comprendevo – avrei poi dovuto spargere sulle anime … il grido di Gesù in croce: «Ho sete» (Gv 19, 28) risuonava continuamente nel mio cuore e quelle parole mi accendevano dentro un fuoco incontenibile e vivissimo…volevo dare da bere al mio Diletto e mi sentivo io divorata dalla sete delle anime… Non erano ancora le anime dei sacerdoti ad attirarmi ma quelle dei grandi peccatori che bruciavo dal desiderio di sottrarre alla fiamme eterne”9.

La partecipazione alle sofferenze di Cristo si iscrive, così, in una sequela spirituale integrale. Anche se l’esperienza della sofferenza introduce in uno stato psicosomatico che presenta aspetti fragili, lo stare sotto la Croce di Cristo genera una nuova coscienza di sé nella prova: “Ascolta, Signore, abbi pietà di me,Signore, vieni in mio aiuto! Hai mutato il mio lamento in danza, mi hai tolto l’abito di sacco, mi hai rivestito di gioia, perché ti canti il mio cuore, senza tacere; Signore, mio Dio, ti renderò grazie per sempre” (Salmo 30, 11-13). È nell’esperienza della compassione che vi è il discernimento autentico della nostra storia: l’amore comporta il sacrificio che trova il suo senso nell’amare e nel sentirsi amati.

La compassione di Maria
I) La statuarietà del dolore
Non sfuggire o “esorcizzare” la sofferenza, ma stare nel dolore in modo nuovo. Questa è stata l’esperienza di Maria e de suo Cuore Addolorato ed Immacolato. Nel dolore, tuo o di altri, davanti al dolore dell’altro, tu semplicemente stai, ci stai. Ovviamente non è una posizione comoda – ognuno di voi lo sa per esperienza – ma è bello che ci venga dallo Stabat Mater, e quindi, più indietro dal testo giovanneo, questa strategia dell’essere nel dolore, che ci pone in un semplice stare: stare in silenzio, stare nel dolore, stare accanto all’altro addolorato senza spendere parole inutili, frasi di convenienza e tutto quell’armamentario che tiriamo fuori quando andiamo a fare una visita a qualche persona ammalata o che abbia vissuto o che stia vivendo un lutto. Via tutto questo! Invece la semplice presenza, l’eloquenza della semplice presenza accanto al dolore. Maria non sta a compiangere il Figlio, non dice perché, non gli chiede delle cose, non aspetta delle parole: è lì. E anche noi siamo chiamati a vivere così, ad avvicinarci in questa maniera al nostro e al dolore degli altri, semplicemente stando.

II) Un gioco di sguardi e di affetto
Lo Stabat è una versione al femminile della Passione del Signore, perché sono tanti gli occhi, le angolazioni da cui contemplare l’evento del Cristo Crocifisso. Lo Stabat sceglie gli occhi della Madre e quindi l’angolazione è mariana nella contemplazione del Figlio. C’è il dramma della donna, che ha generato un figlio per la vita, e adesso lo vede esangue o in fin di vita sulla croce, condannato innocentemente.
C’è il dramma della madre. Quindi innanzi tutto la donna davanti al dolore e poi la donna davanti al dolore del figlio, quindi la madre che guarda, che si contrista: con-tristare, con-dolere, verbi che tornano continuamente per dire che quello che accade ha un’eco nel cuore della madre.
C’è una Passio Mariae oltre che una Passione di Gesù. C’è un dolore e c’è un essere condannata, un essere condotta al patibolo anche della madre, benché resti in vita.
La Passione di Cristo e la Passione di Maria sono così un gioco di sguardi, questo flusso di amore e di dolore, che passa dalla madre al figlio, amplificandosi, e poi, passando dall’una all’altro creando una deflagrazione dolorosa come una grande esplosione. “Tutto questo è per te. Per te io ho fatto tutto questo” – ci dice il Cristo e ci ripete Maria: “pro peccatis suae gentis vidit Jesum in tormentis et flagellis subditum”. Entriamo così in una dimensione particolare della fede, dove l’affetto si fa sensibile: “Fac, ut ardeat cor meum in amandum Christum Deum..”. È l’aspetto passionale nella fede: vivere la fede, il ministero, la preghiera con tutti i moti del cuore (la compassione, il pentimento, l’adesione forte, l’infuocarsi), sempre, però, orientati al Cristo e mai auto-centrati sui nostri umori o sulle circostanze: fac ut ardeat cor meum.

La compassione della Chiesa
“L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia»10 Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. (..). È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli “11.

Per quanto elevato possa apparire questo modo di intendere la missione, esso deve essere proposto a coloro che vogliono aiutare Cristo nell’opera della Redenzione: la nostra apostolicità sacerdotale è la nostra conformità al Cuore di Cristo: Ciò che vi è di misterioso nel sacerdote, è che egli entra progressivamente nei sentimenti di Cristo. È preso in questo mistero di un Dio che ama e che non è amato. Egli vuole portare Dio dove c’è il rifiuto di Dio. Questo ricorso al Cuore di Gesù arricchisce, così, considerevolmente l’apostolo, conferendo una dimensione interiore al suo ministero. Infatti, l’aderire con lo sguardo della fede amante al mistero del Cuore del Redentore, permette di far propria la vita e la missione di Cristo: “Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 1-3).
Per la riflessione personale

La compassione di Cristo
Diceva l’immenso Bernanos: «Odiarsi è più facile di quanto si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Ma se in noi fosse morto ogni orgoglio, “la grazia delle grazie” sarebbe amare umilmente se stessi allo stesso modo di qualunque altra parte del Corpo sofferente di Gesù Cristo» (Diario di un curato di campagna).

1. Mi sento amato dal Signore?
2. Dinnanzi al suo Amore, mi sento come se dovessi superare un esame?
3. Le mie fragilità mi sono note… Sconfitta personale o occasione per celebrare la Sua Misericordia?
4. L’Eucarestia: rito – funzione o mistica del sacerdozio?

La compassione di Maria
“O Maria, vieni a visitare il mio cuore angosciato, tu che ben sai lenire le sue pene e sai come ricomporle nella pace. Vieni, piissima Signora, con una nuova grazia di Cristo e con la santa destra rialza il tuo servo. Vieni, Madre prescelta da Dio e mostrami la preclara grandezza della tua misericordia. Come puoi vedere, sono molto provato, ma non mi sono dimenticato di te né mai me ne dimenticherò. Vieni, dunque, Vergine Maria. Vieni, mia speranza e mia gioia: se tu vieni a me e mi rivolgi la tua parola, a me verranno anche tutti i beni e tutti i mali si terranno lontano!” (Tommaso da Kempis)

1. “prendere Maria” in casa: quale spazio nella mia vita di sacerdote?
2. Pregare ed imitare Maria: quale vantaggio nel mio apostolato?
3. La custodia di sé: il mio corpo e il mio cuore possono essere guariti dalla maternità di Maria?

La compassione della Chiesa
«Non siamo qui perché siamo migliori degli altri. Non siamo supereroi che, dall’alto, scendono a incontrarsi con i “mortali”. Piuttosto siamo inviati con la consapevolezza di essere uomini e donne perdonati. E questa è la fonte della nostra gioia. E come Gesù non si presenta ai suoi senza piaghe, anche i suoi sono invitati a non dissimulare o nascondere le loro piaghe. Una Chiesa con le piaghe è capace di comprendere le piaghe del mondo di oggi e di farle sue, patirle, accompagnarle e cercare di sanarle. Una Chiesa con le piaghe non si pone al centro, non si crede perfetta, ma pone al centro l’unico che può sanare le ferite e che si chiama Gesù Cristo. La consapevolezza di avere delle piaghe libera dal diventare autoreferenziali, dal credersi superiori».(Papa Francesco, 16/01/2018)
1. Come mi guardo: spezzare ogni eccessivo giudizio su di sé per accogliere la grazia del limite
2. Siamo uomini perdonati: come esercito il perdono fra confratelli? E con il Vescovo?
3. Mi sento accolto nella mia fragilità o necessito di una continua finzione di “perfezionismo morale”?
4. La Grazia sanante: idea teologica o realtà spirituale?
5. Come vivo tutto questo nella mia preghiera personale?

In modo istintivo, di una cosa sola sono certo: le vie di Dio sono più alte delle mie. Questo significa che se Egli rivela, attraverso la Sacra Scrittura, il suo modo di amarmi, esse saranno sicuramente sconvolgenti. La facilità con cui gli uomini osano dire come dovrebbe essere l’amore è scioccante! C’è un solo modo per sapere quanto Dio mi ama realmente: ascoltare ciò che mi dice e credervi. Bisogna arrendersi a questo Amore! Dio è venuto verso di me, nel mio cuore morto, sanguinante, sudicio e traditore e mi ha riportato alla vita.

Ez 16, 1-14
Ger 31, 3
Dt 7, 7-8
Mal 1, 2-3

Rm 2, 29; 9,8.24; 10, 11-12
Ef 1, 4-5; 2, 4-5
2 Tm 1,9