È una domanda, che in quest’anno giubilare dell’Ordine possiamo porci per pensarci insieme. Cosa, secondo noi, farebbe o non farebbe san Domenico oggi, nella nostra cultura, nella nostra situazione ecclesiale, in mezzo alla gente con la quale e nella quale viviamo, nelle nostre comunità di laici, monache e frati, nella Chiesa e nel mondo di oggi? Come si incarnerebbe oggi il carisma di san Domenico: cambierebbe tutto? Enucleo alcune cose che, secondo me, san Domenico riproporrebbe anche oggi, e che fanno parte delle caratteristiche di fondo, perenni, del carisma di san Domenico e della tradizione che ne è nata.

Un Ordine di predicatori del vangelo (comunità di predicazione)
San Domenico vorrebbe anche oggi un Ordine di predicatori, dedito alla predicazione in tutte le sue forme. Vorrebbe delle comunità di predicazione e non semplicemente degli individui predicatori. Certo tra i nostri santi c’è anche san Francesco Coll Guitar, per il quale fu giocoforza vivere la sua vocazione di predicatore domenicano in forma solitaria, essendo impossibilitato, nella Spagna del tempo, a vivere una vita religiosa comunitaria. Ma le eccezioni non fanno la regola anche se forse, oggi, le eccezioni sono più frequenti della regola. Non possiamo però togliere dalle nostre Costituzioni la dimensione comunitaria della nostra vita e della nostra missione. Comunitaria non solo nel senso di avere una abitazione comune e dei pasti in comune, ma proprio come una “casa/famiglia”, non semplicemente un albergo o una pensione, dalla quale partire e alla quale tornare, o nella quale passare il tempo cedendo talvolta alla tentazione di “vivacchiare nella mediocrità”, come ci ammoniva recentemente papa Francesco. Una comunità con la passione della predicazione del vangelo, a tutti e in tutti i modi, e che si organizza per questo compito.

Un Ordine che vive perla gente e tra la gente
San Domenico vorrebbe un Ordine, quindi, a servizio della chiesa e degli uomini di ogni stirpe e lingua. Pensiamo, ad esempio, a come viviamo la domenica nelle nostre comunità. La domenica è il giorno della Chiesa, il giorno nel quale la Chiesa è chiamata a farsi Chiesa cioè a riunirsi per celebrare il suo Signore. Anche per noi la domenica deve essere domenica, per quanto riguarda noi e come disponibilità a servire la Chiesa. Di questa Chiesa che celebra la sua festa noi dobbiamo sentirci a servizio. Per noi frati, non basta che ognuno celebri la sua messa, faccia la sua predica, o concelebri o vi partecipi come ogni cristiano, e poi se ne stia chiuso nella sua cella, magari a studiare o semplicemente a riposarsi “perché abbiamo lavorato tutta la settimana”; o passare la domenica cogli amici o vedendo un film. Dove sarebbe il nostro senso pastorale, cioè di essere a servizio dei fedeli che in questo giorno si radunano? Facendo scuola chiedevo talvolta agli studenti domenicani come viviamo la nostra domenica. C’è qualche segno, al di là di un pasto migliore a tavola? In quel giorno ci interessiamo di più della gente che stavolta non dobbiamo cercare, ma semplicemente incontrare e servire nelle nostre chiese? E perché no, avere un vestito da festa, diverso da quello lavorativo. È solo un segno, certo, ma nel mondo contadino nel quale sono nato il vestito da festa aveva un suo senso nella domenica e nelle feste comandate. Allo stesso modo che non si celebra la liturgia in ciabatte. Siamo sempre in attività, non siamo domenicani ad orario d’ufficio o secondo i giorni di lavoro.

Un Ordine che studia
Anche oggi san Domenico vorrebbe un Ordine che studia. Uno studio ordinato alla missione, alla predicazione, non semplicemente uno studio per lo studio. Penso ad una nostra santa laica domenicana del Perù, Rosa da Lima, che sgridava i frati del tempo che erano più preoccupati delle sottili distinzioni filosofiche e teologiche che di predicare il vangelo in mezzo alla gente. Non sono personalmente anti intellettuale, ma mi è sempre suonato stonato definire e ritenere il nostro Ordine un Ordine intellettuale. Per essere intellettuali non è necessario essere domenicani, se non c’è qualcos’altro che dà un senso al nostro studio. E lo studio vale non solo per i frati ma anche per i nostri laici e per le nostre monache, sia per meglio “predicare”, sia per meglio vivere e pregare.

Un Ordine contemplativo-apostolico
Un’altra cosa perenne, secondo me, è che san Domenico vorrebbe un Ordine contemplativo-apostolico, se anche san Tommaso, non semplicemente un intellettuale, pensava al nostro Ordine come un Ordine contemplativo che comunica quanto ha appreso nella preghiera e nello studio. Troppo spesso si corre il rischio di dimenticare il “contemplare”, come se ci fosse un periodo della vita nel quale contempliamo (quando siamo in formazione iniziale), e un periodo (dopo) quando predichiamo. È vero che si può vivere di rendita, ma solo per un po’, perché poi la minestra diventa scotta. Di questa vita contemplativo-apostolica fa parte anche la solenne preghiera liturgica quotidiana. Questa è entrata nell’Ordine solo perché san Domenico era condizionato dagli usi canonicali dell’epoca? Oggi farebbe diversamente? Dopo il concilio Vaticano II sembra più chiaro che la liturgia fa parte inseparabilmente della vita cristiana, della vita della Chiesa, e degli Ordini religiosi. E non solo l’eucaristia, che è il centro di ogni giornata, ma della stessa liturgia delle Ore, cioè della preghiera in varie ore del giorno, che esprime la “dimensione (perennemente) orante della Chiesa”. E anche questa preghiera non solo a titolo personale ma comunitario. Tra l’altro, l’Ordine piano piano si è data anche una sua modalità di preghiera, da coniugare con la sua attività apostolica, per cui la nostra consuetudine liturgica non è mai stata semplicemente monastica ma nemmeno semplicemente canonicale o laicale. La stessa nostra tradizione (o consuetudine) liturgica si è adattata nei secoli, pur senza perdere il suo posto centrale all’interno del nostro carisma. I Maestri dell’Ordine e Capitoli generali sono spesso intervenuti su questi temi, non ultimo l’attuale Maestro fr. Bruno.

Una vita regolare e una obbedienza
San Domenico e i primi frati, a sostegno della loro vita missionaria, hanno voluto anche una vita regolare, cioè secondo una regola che essi si sono dati, una regola continuamente ritoccata e adattata ai tempi, e sulla cui fedele osservanza dedicavano frequenti, talvolta quotidiani, capitoli conventuali, detti “capitoli delle colpe” (contro la regola), perché san Domenico non volle l’osservanza della nostra regola sotto peccato, ma non di meno come un obbligo che ci assumiamo comunitariamente. Negli anni 1966-68 c’è stato un grosso ripensamento nell’Ordine sulle nostre Costituzioni, ripensamento sfociato nel testo del 1968. Vedi in proposito la bella lettera che il Maestro fr. Aniceto Fernandez ha scritto a promulgazione delle rinnovate Costituzioni votate nel Capitolo del 1968. Sulla scia delle nuove Costituzioni dei frati, anche le monache hanno rivisto le loro Regole, e le fraternite laiche le loro. Di questa vita regolare fanno parte alcune osservanze che le rinnovate Costituzioni dei frati hanno trasmesso nei nn. 39-55. A cinquant’anni di distanza, se a qualcuno queste norme paiono antiquate non c’è che da fare una richiesta ai Capitoli generali di aggiornarle, ma la vita regolare rimarrebbe comunque, a mio parere, un aspetto che san Domenico riproporrebbe. A conclusione del n. 40 si dice anche: «Per osservare fedelmente queste pratiche sono di aiuto la clausura, il silenzio, l’abito e le opere di penitenza». Le opere della penitenza comunitaria un po’ sono sparite, lasciate ai singoli. Noi tutti poi abbiamo fatto professione di vivere l’obbedienza secondo le nostre Costituzioni, perché esse sono la via tracciata per vivere il nostro carisma oggi, “u’ ben s’impingua – direbbe Dante – se non si vaneggia”. Spiace che sia sparito il capitolo conventuale di verifica sull’osservanza delle Regole sulle quali abbiamo professato. Senza un riferimento alle Costituzioni mancherebbe un principio unitario nel nostro vivere. Del resto come potrebbero i priori, i provinciali o lo stesso Maestro, guidare le comunità, se non facendo riferimento alla Regola? Unicamente sui propri criteri? Se i superiori ordinassero delle cose contro la Regola, non saremmo tenuti ad obbedire.

Povertà volontaria
Le parole “povertà volontaria” sono tra le ultime di san Domenico, e non sono invecchiate nel tempo, perché la situazione storica nella quale annunciare il vangelo ai poveri non è cambiata oggi da allora. Povertà volontaria, non solo dei singoli ma delle comunità e dell’Ordine intero. Penso che l’Ordine sia praticamente povero (al centro direzionale), anche qualche Provincia e qualche comunità sono veramente povere; meno poveri sembrano essere i singoli che talvolta vivono più alla grande. San Domenico ci direbbe, come diceva allora insieme al suo vescovo Diego ai predicatori del tempo, di predicare vivendo in povertà volontaria. Si tramanda che abbia richiamato il sindaco di un convento ad una mensa più sobria. Il fatto può essere un complimento per la cura con la quale quell’economo pensava ai frati, ma poteva anche essere un richiamo ad una mensa più austera (che non significa meno sana). Quanta gente oggi potrebbe concedersi cibo e vesti che noi ci concediamo? Non diamo scandalo talvolta? Se diamo l’impressione di essere ricchi, o di vivre da ricchi, forse non è sempre una falsa impressione. Significative in proposito le Costituzioni dei frati in LCO 30-38, da rileggere. Dovremo ogni tanto riguardare comunitariamente le nostre Regole o le indicazioni dei Capitoli generali e provinciali, che non sono cose di nessun o scarso valore, ma vitali.

Leggiamo nella nostra Costituzione fondamentale:
“Scrivendo a s. Domenico e ai suoi frati, papa Onorio III esprimeva il progetto dell’Ordine con queste parole: «Colui che feconda la sua Chiesa con prole sempre nuova, volendo conformare i tempi moderni ai più antichi e propagare la fede cattolica, vi ha ispirato un devoto desiderio per cui, abbracciata la povertà e professata la vita regolare (corsivo mio) vi dedicate all’esortazione della parola di Dio, recando al mondo intero il buon annuncio del nome di nostro Signore Gesù Cristo»” (LCO, 1, § I).
Un buon programma anche per oggi, per tutti, anche per i nostri laici.

di fra Raffaele Quilotti