Lo scorso 21 novembre, presso la Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna si è svolta la cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico. Invitato a tenere la prolusione sul tema “Il prete di oggi e di domani”, il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, poi intervistato dall’editorialista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo. Qui le riflessioni di uno dei frati studenti, al primo anno di teologia. 

Come essere prete oggi e domani? L’apertura dell’anno accademico della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna ci ha offerto la preziosa opportunità di rifletterci su, con la prolusione, affidata al cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, e la sua successiva conversazione con l’editorialista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo. Hanno offerto molti spunti preziosi, partendo dal primo e più fondamentale punto di riferimento di ogni forma di vita cristiana: Gesù Cristo. In una società “liquida” nella quale identità e relazioni sembrano essere sempre più sfuggenti, domandarsi chi è il prete non è perdere tempo in discorsi astratti e oziosi. È il prendere atto di una santa tensione fra la stabilità nella fede nel Salvatore e l’itineranza che la chiesa è chiamata a vivere. Ecco perché, come intuì san Domenico, il rifugiarsi in schemi del passato, magari all’apparenza più rassicuranti e confortevoli, ma inadeguati, può essere causa di quelli che il cardinale Parolin ha definito: «errori fatali». Se è vero che ci sono delle sfide molto impegnative (quando mai la chiesa non ne ha affrontate?) è altrettanto vero che non saranno le risposte preconfezionate a renderci davvero utili per la salvezza delle anime.

In questo senso, l’immagine del prete di oggi e di domani che è emersa dalle parole del cardinale Parolin è quella di chi sa farsi accogliente nei confronti del prossimo, in forza di una vita di vera amicizia con il Signore. È questo che rende capaci di essere, allo stesso tempo autorevoli, ma non autoritari, e soprattutto misericordiosi come il buon samaritano. La consapevolezza di essere discepoli dell’unico maestro sarà un efficace antidoto contro la tentazione di farsi maestri, soprattutto quando la giovane età, e un poco di presunzione, possono illudere qualcuno di aver già capito tutto e di poter sentenziare senza la necessaria prudenza.

Ecco perché, nella formazione al sacerdozio, è necessario che si rafforzi questa identità di discepoli in cammino, preparati non solo nei diversi ambiti del sapere teologico e accademico, ma anche nel profilo umano. Infatti, nella confusione di questa “società liquida” c’è davvero tanto bisogno di persone che sappiano, prima di tutto ascoltare, poi accompagnare chi ne ha bisogno e per usare le esortazioni del cardinale Parolin: «cercare i lontani, i perduti, aiutare i dubbiosi, curare i feriti» e avere: «il desiderio di aiutare tutti e non perdere nessuno» cosa che difficilmente potrà avvenire se il pastore sarà o sarà anche solo percepito come freddo, rigorista e autoreferenziale.

Mentre le parrocchie hanno sempre più bisogno di rinnovarsi e i sacerdoti, in modo particolare quelli diocesani, sono e si sentono sempre più soli, emerge proprio la necessità di condivisione del lavoro apostolico e di una maggiore comunione, senza dimenticare che anche l’apporto dei fedeli laici, potrà aiutare i sacerdoti, non solo ad alleggerirsi dall’onore e dall’onere di fare tutto, ma permetterà a tutti di esprimere, nella maniera adeguata, il proprio essere parte della chiesa. Dire che «Non siamo all’anno zero», sembra un’ovvietà, ma è bene ricordarlo, per evitare due possibili errori: rifugiarsi in un passato che non si può più riproporre o pensare che l’unica soluzione sia quella di ripartire da capo, abbattendo quasi tutto. In questo senso, proprio la via indicata, fra gli altri da san Domenico e san Francesco, quella di saper essere creativi, riconoscendo la novità dei loro tempi, ma rimanendo sempre in medio ecclesiae, appare preziosa e ancora capace, non solo di chiamare tanti giovani alla vocazione della vita consacrata e del sacerdozio, anche se sono sempre pochi quelli che accettano di rispondere all’invito del Signore a seguirlo, ma anche di mostrare la gioia della vita e della vocazione cristiane: non si tratta di nascondere le difficoltà, ma di farle vedere alla luce della gioia di donare la vita e poter essere davvero tutti di Dio per poter essere tutti per gli altri.