Bologna 2016

PROEMIO
Inviati a predicare la grazia e la misericordia

56. Con questo Capitolo Generale di Bologna iniziamo una nuova tappa nel nostro cammino di predicazione itinerante. Abbiamo iniziato le sessioni capitolari incontrando i giovani in formazione che avevano fatto il pellegrinaggio “sulle orme di san Domenico”, nell’ottavo centenario dell’istituzione dell’Ordine. È stato un incontro che ci ha incoraggiati e ci ha chiamati a riflettere. Insieme a loro vogliamo rinnovarci e trovare nuove spinte nel luogo dove il nostro Padre è rinato a vita eterna. A lui chiediamo di accompagnarci per raggiungere questo scopo, compiendo così la sua promessa di “essere più utile ai fratelli”.

57. La fortunata coincidenza del Giubileo dell’Ordine e del Giubileo straordinario della Misericordia ci dà l’opportunità di riflettere sotto una nuova luce sia sulla nostra vita che sulla nostra missione di predicatori. Siamo Domenicani per grazia di Dio. All’inizio del nostro cammino ci hanno chiesto: ‘che cosa chiedi?’ E abbiamo risposto: ‘la misericordia di Dio e la vostra’. A partire da quel momento abbiamo iniziato la vita domenicana, piena della grazia di Dio, ed abbiamo esercitato il ministero della Parola come misericordia veritatis (ACG Providence 2001,107). Il Papa emerito Benedetto XVI ci ricorda che “nessuna azione è più benevola e, quindi, caritatevole verso il prossimo che dividere il pane della Parola di Dio, farlo partecipe della buona novella del vangelo, introdurlo al rapporto con Dio” (Messaggio per la Quaresima 2013, n. 3).

58. Il ministero della Parola è, di fatto, un atto di carità, di misericordia e di generosità che ci porta a condividere il nostro tesoro più grande, la Parola fatta carne. In verità, ‘la più grande opera di carità è l’evangelizzazione’. Predicare o insegnare, sostenuti da uno studio costante, è considerato a ragione opera di carità ed espressione della nostra missione profetica domenicana. D’altra parte, le opere di misericordia corporali e spirituali sono una predicazione, poiché proclamano l’amore misericordioso di Dio.

59. L’Ordine, fin dalle sue origini, ha compiuto questo ministero, che altro non è stato che la missione che siamo tuttora chiamati a portare avanti: ‘siamo inviati a predicare il vangelo’. L’ultimo capitolo generale ha indicato esattamente quali sono le domande che ci aiuteranno a rinnovarci (cf. ACG Trogir 2013 50 e 51).

60. A Bologna abbiamo ricordato quanto indicato a Trogir e abbiamo constatato che la predicazione dell’Ordine è caratterizzata da alcuni punti fondamentali che sostengono la nostra vocazione, danno senso alla nostra vita e stimolano la nostra missione e ci invitano a condividere il vangelo con un mondo sofferente. Questi punti si ritrovano nel testo di Luca 10,1-20, quando i discepoli sono inviati a predicare indicando loro chi è che li manda, come, per quale motivo, dove e quale deve essere il frutto della loro missione.

‘Il Signore ne designò altri settantadue’

61. Chi li manda? Dopo aver riunito i Dodici e averli inviati a predicare il regno di Dio, il Signore ne designò altri settantadue per realizzare la stessa missione. Ora egli invia tutti noi della Famiglia Domenicana ad annunciare la buona novella come testimoni di questo regno e ci rende partecipi della missione apostolica. Siamo inviati a predicare il vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo con un’energia sempre nuova.

62. Il nostro invio è alimentato dalla fiducia che Dio ha riposto nell’Ordine dei Predicatori. Questa fiducia costante ci rinnova in ogni periodo storico all’interno della Chiesa e rinforza la nostra relazione di amicizia con il Signore; richiede fiducia nell’ascolto della Parola; ma esige anche un incontro fiducioso con il mondo e responsabilità e coinvolgimento nelle situazioni umane di maggior vulnerabilità. In tale modo le esigenze di amicizia nei predicatori della grazia rinnovano il dialogo con il mondo.

63. Un dialogo di amicizia con Dio e con il mondo rende possibile una predicazione migliore e scopre la grazia di Dio in coloro che ci circondano; pone l’accento più sulle possibilità dell’essere umano che sui suoi limiti; apprezza la capacità umana per il bene e il perdono ed esprime così una certa complicità fra Dio e il predicatore.

64. San Domenico inviò i suoi frati a studiare, predicare e fondare conventi, mostrando grande fiducia nei suoi fratelli. Questi compiti ci dimostrano che la vita comunitaria, lo studio e la predicazione sono fondamentali per la nostra identità. Predichiamo insieme quando insieme preghiamo, cresciamo nella nostra fraternità e studiamo la Parola.

65. L’Ordine oggi raccoglie la sfida di rinnovare la sua obbedienza a Dio e alla sua Parola che si incarna nel mondo. Perché questo rinnovamento sia autentico dobbiamo ascoltare i gemiti dell’umanità. In questo modo la nostra predicazione scaturirà non da noi stessi, ma da un Dio che parla al suo popolo.

‘Li inviò a due a due’

66. Come sono inviati? Il Signore ci invia a due a due, come i settantadue. Egli è con noi come lo fu con i discepoli di Emmaus. Siamo inviati come comunità, a condividere la missione di Domenico con innumerevoli fratelli e sorelle che nei secoli hanno assunto la predicazione itinerante attraversando paesi e continenti. Siamo inviati a due a due per un’unica missione e a partire da un’unica professione religiosa, alcuni nel sacerdozio comune, altri nell’esercizio del sacerdozio ministeriale.

67. Siamo stati inviati come fratelli per costruire comunità. La vita fraterna e contemplativa fa parte della nostra missione. Per un Domenicano la testimonianza di una vita in comunità è qualcosa che può essere difficile da raggiungere, ma che dovrebbe essere gratificante per noi ed edificante per gli altri. La vita fraterna fa parte dell’identità del predicatore. L’unanimità di cuore e di mente è una forma eloquente di predicazione, poiché conferisce credibilità alla missione; come potremmo predicare l’amore di Dio senza costruire comunione con i fratelli? Perché è lì che cresciamo e maturiamo nella carità. Per questa ragione la comunità domenicana è denominata sancta praedicatio.

68. Gesù, prima di inviarli a due a due (Lc 10), aveva inviato i dodici per proclamare il Regno e portare la salvezza (Lc 9). Gli inviati possono variare nel numero e anche le realtà verso le quali sono inviati possono cambiare, ma questo non cambia la missione di predicare la verità nella carità (Ef 4,15). Quello che si richiede è che adattiamo il nostro linguaggio per comunicare la Parola nel dialogo con i diversi popoli e culture e che rinnoviamo le nostre strutture per vivere in mezzo alle condizioni mutevoli del mondo attuale.

69. Fin dalle origini siamo stati concepiti come famiglia e in questo modo dobbiamo compiere anche oggi la missione della predicazione, sostenuti dalla preghiera delle nostre monache, accompagnati dalle suore di vita apostolica, dalla collaborazione delle fraternite sacerdotali e laiche, dagli istituti secolari e animati dallo spirito dei membri del Movimento Giovanile Domenicano. In questo capitolo abbiamo condiviso le gioie e le sfide dei diversi rami della nostra famiglia, riaffermando la nostra comunione. Insieme abbiamo cercato in maniera creativa il miglior modo di rispondere alla nostra vocazione.

‘Curate i malati e dite: il Regno di Dio è vicino’

70. Per quale motivo li invia? Gesù invia i suoi discepoli in dipendenza reciproca con l’umanità; dice loro: ‘mangiate quello che vi daranno’. Come predicatori siamo inviati a condividere il pane della Parola, disposti a ricevere quello che ci può esser dato, a nutrire con la Parola e ad essere nutriti da coloro che serviamo. Questa missione di Gesù manifesta una fragilità: sta in questo il paradosso del predicatore che sperimenta, da un lato, la forza della parola di vita che guarisce e rialza e, dall’altro, la fragilità dei mezzi di cui dispone per annunciarla nella debolezza della sua esistenza, arrivando anche a dipendere dalla benevolenza di coloro che lo accolgono. In tale vulnerabilità il predicatore sperimenta la fiducia che porta all’audacia del seminatore della Parola. La mistica del predicatore è, quindi, quella del seminatore, che semina e custodisce ciò che ha seminato. La nascita, la crescita e la mietitura dipendono dal padrone della messe e sono un mistero di cui meravigliarsi.

71. In secondo luogo, Gesù vive e condivide con i suoi discepoli e poi li invia ad annunciare quello che hanno vissuto e condiviso con lui, cioè il Regno. Nel momento della chiamata alla predicazione siamo stati invitati a vivere con lui, ad annunciare la parola e a realizzare le sue stesse azioni. Contemplari e aliis tradere sono i due poli della nostra vita. Annunciare la vicinanza del Regno di Dio e curare i malati ci avvicina ai posti in cui l’armonia dell’essere umano e delle nostre società è infranta. Là dove sono i poveri e i più miseri, là c’è Dio. La sua presenza impedisce che siano dimenticati e ignorati. Il predicatore, segno della speranza e della bontà di Dio, dovrà essere là per portare la presenza di Dio. In ognuno di questi più piccoli è presente Cristo stesso. La sua carne si rende di nuovo visibile perché noi lo riconosciamo, lo tocchiamo e lo assistiamo con cura (cf. Misericordiae Vultus, n. 15).

72. In terzo luogo siamo inviati a predicare la misericordia di Dio e la nostra riconciliazione con lui e con i fratelli (cf. 2 Cor 5, 20). La predicazione domenicana, così come quella di Domenico, deve riappacificare le relazioni ferite e portare pace nel mondo. Per questo dobbiamo capire che la predicazione della misericordia è una missione di guarigione. Il nostro cammino di predicatori è un cammino di guarigione interiore, un cammino di riconciliazione nelle comunità e nelle province. In questo modo loderemo, benediremo e predicheremo il vangelo della gioia, della pace e della riconciliazione.

73. Infine riconosciamo che, benché la nostra predicazione debba curare, nella storia abbiamo commesso errori che hanno condannato molte persone, compresi alcuni nostri stessi fratelli. In questo tempo giubilare dobbiamo riconciliarci con coloro che abbiamo ferito con le nostre infedeltà, con la superbia e con lo zelo eccessivo nel difendere questioni non tanto fondamentali.

‘Nei luoghi (città) dove Egli doveva andare’

74. Dove li invia? Li invia ‘nei luoghi dove egli doveva andare’. San Domenico predicò la gioiosa notizia della ‘Parola fatta carne’ in tempi di confusione nella fede e crisi nella Chiesa. Oggi viviamo in un mondo globalizzato che ci presenta diverse realtà complesse. Ci sono luoghi nel mondo immersi nel materialismo, nel secolarismo, nell’ateismo, nella divisione politica, nella violenza sociale, nella discriminazione razziale e nelle minacce all’istituzione del matrimonio e della famiglia. In altri posti si vive in estrema povertà, nella violenza della guerra, dell’abuso impunito dei diritti umani, del fondamentalismo religioso, del terrorismo e della corruzione. Tutto questo ci genera ansia e disperazione.

75. La nostra predicazione si contestualizza non solo nei luoghi dove siamo, ma anche tra le persone che vi risiedono; negli uomini e nelle donne che hanno bisogno dell’annuncio della speranza fondata in Cristo. Per questo, in questo Capitolo Generale l’Ordine si vede impegnato con i migranti e i rifugiati; con le popolazioni indigene, con coloro che professano altre religioni, appartengono ad altre Chiese cristiane o sono indifferenti alla fede; con i dimenticati; con i non nati, i giovani e gli anziani; con i malati, i carcerati, i condannati a morte, ecc. Questo ci porta a rinnovare il nostro impegno con la vita e con la formazione e promozione umana nella pastorale, universitaria, parrocchiale e sanitaria.

76. Oggi l’Ordine si scopre inviato a predicare nel ‘continente digitale’, realtà che pure richiede d’essere evangelizzata. I progressi tecnologici ci offrono un potente strumento di predicazione. Internet e i social network si sono convertiti in un nuovo pulpito che ci serve per l’annuncio e per favorire il dialogo e l’interazione in una società polarizzata e divisa.

77. La nostra predicazione, motivata dalla misericordia, non può essere estranea alla riconciliazione fra l’umanità e la creazione. I cambiamenti ecologici globali sono progrediti velocemente negli ultimi decenni, colpendo i più poveri e vulnerabili. Sta crescendo la sensibilità rispetto a questa sfida. Papa Francesco, nella sua enciclica Laudato Si’, richiama all’azione responsabile verso la terra e alla necessità di un ‘equilibrio ecologico’ per il bene comune.

‘Tornarono pieni di gioia’

78. Quali devono essere i frutti dell’invio? I discepoli tornarono pieni di gioia dopo aver compiuto la loro missione. In quest’anno giubilare sono molti i motivi di gioia per l’Ordine. Rendiamo grazie a Dio per questo, perché la sua missione prosegue tuttora; perché Dio ci apre nuovi scenari di predicazione; perché ci benedice con la vocazione di coloro che già sono nell’Ordine e anche con quella di coloro che si inseriscono nella nostra famiglia.

79. I discepoli tornano pieni di gioia sapendo che la predicazione non è un semplice annuncio, bensì un impegno pasquale: morire a se stessi per annunciare la vita. Il predicatore impegna la vita nel suo cammino. Alcuni perfino in situazioni di violenza e rifiuto; altri, in silenzio, danno testimonianza della Pasqua sforzandosi ogni giorno per essere fedeli alla propria vocazione; e alcuni membri della nostra famiglia, in modo più sublime, hanno sparso anche il loro sangue nel corso della storia, come fr. Pierre Claverie op, che vent’anni fa fu assassinato per aver servito il vangelo in una società frammentata. Eppure, gli uni e gli altri erano pieni di gioia, perché hanno compreso che il valore della vita si trova nella capacità di darla per gli altri.

80. Nel cammino della predicazione non tutto è semplice. ‘C’è molta polvere da rimuovere nei sandali dei predicatori’. Dobbiamo disfarci dell’individualismo, delle infedeltà, della mancanza d’identità, del timore, dell’autoreferenzialità, quando dimentichiamo che siamo servitori di una missione comune. Attaccarci a uffici, luoghi e comunità o preferire una pastorale di conservazione e meno creativa può ridurre il nostro coraggio nella predicazione. Come abbiamo già detto, non tutto è favorevole negli scenari della predicazione e ciò può generare nel predicatore attitudini negative o di sconforto, di cui pure disfarsi. ‘Spolverare i nostri sandali’ è importante poiché niente appanni la nostra gioia.

81. La gioia dei discepoli non si radica tanto in quello che hanno fatto per sé stessi, quanto nell’aver servito l’umanità ‘nel nome di Gesù’. Tornare come discepoli accanto al maestro non è dimenticare il mondo, bensì condividere con Gesù le ferite della gente. Così fece Domenico: ‘dopo aver parlato di Dio agli uomini, parlava degli uomini con Dio’. Intraprendere il cammino di ritorno a Dio è tornare a incentrare le nostre vite in Colui che ci ha inviato. Questa è la vera laetitia praedicatoris.

‘Niente li potrà danneggiare. I loro nomi sono scritti nei cieli’

82. San Domenico non lasciò nessuna omelia scritta. Di lui abbiamo solo pochi scritti, ma tutta la sua vita è una predicazione e l’Ordine che ha fondato è la sua omelia più bella. Oggi noi Domenicani dobbiamo sentirci parte di questa praedicatio di san Domenico, poiché siamo le parole con le quali continua a predicare nella storia.

83. Il primo capitolo generale dell’Ordine fu tenuto a Bologna; sempre qui, mentre celebriamo l’VIII centenario, riconosciamo con grata memoria l’azione dello Spirito e invochiamo la grazia provvidente e la misericordia di Dio per continuare la missione a cui siamo stati chiamati..

84. Il futuro si presenta a noi con molte sfide e con molti compiti. Tuttavia l’Ordine rinnova la sua fiducia in Dio e la sua speranza nell’impegno dei fratelli, specialmente di quelli più giovani, perché siamo consapevoli che abbiamo una grande storia da raccontare e un grande futuro da costruire. Per questo, in questo giubileo ci sentiamo nuovamente inviati a lodare, benedire e predicare