Questo vivido affresco di san Domenico è tratto dal Libellus de principiis ordinis fratrum praedicatorum (1234) del primo successore di Domenico stesso, il beato Giordano di Sassonia. Attratto dall’entusiasmo evangelico del grande Castigliano, Giordano ne condivise generosamente l’ideale e ci lasciò la più fedele biografia.

Vi era in lui qualcosa di più splendente e meraviglioso degli stessi miracoli. Era tale la perfezione morale dei suoi costumi, tale lo slancio di fervore divino che lo trasportava, da non potersi minimamente dubitare ch’egli fosse un vaso di onore e di grazia, un vaso ornato d’ogni specie di pietre preziose. Aveva una volontà ferma e sempre lineare, eccetto quando si lasciava prendere dalla compassione e dalla misericordia. E poiché un cuor lieto rende ilare il viso, l’equilibrio sereno del suo interno si manifestava al di fuori nella bontà e nella gaiezza del volto. Era, però, talmente irremovibile nelle cose ch’egli aveva giudicato secondo Dio ragionevole farsi, che mai o quasi mai consentiva di mutare una decisione, una volta presa dopo maturo consiglio. E poiché la testimonianza della sua buona coscienza, come s’è detto, rischiarava continuamente d’una grande gioia il suo volto, lo splendore del suo viso non veniva offuscato dalle cose terrene.

Per questo egli s’attirava facilmente l’amore di tutti; senza difficoltà appena lo conoscevano, tutti cominciavano a volergli bene. Dovunque si trovasse, sia in viaggio coi compagni, sia in casa con l’ospite e la sua famiglia, oppure tra i grandi, i principi e i prelati, con tutti usava parole di edificazione, dava a tutti abbondanza di esempi capaci di piegare l’anima degli uditori all’amore di Cristo e al disprezzo del mondo. Ovunque si manifestava come un uomo evangelico, nelle parole come nelle opere. Durante il giorno, nessuno più di lui si mostrava socievole coi frati o con i compagni di viaggio, nessuno era con loro più gioviale di lui.

Viceversa, di notte, nessuno era più di lui assiduo nel vegliare in preghiera. Alla sera prorompeva in pianto, ma al mattino raggiava di gioia. Il giorno lo dedicava al prossimo, La notte a Dio, ben sapendo che Dio concede la sua misericordia al giorno e il suo canto alla notte.

Piangeva spesso e abbondantemente; le lacrime erano il suo pane giorno e notte: di giorno, soprattutto quando celebrava, spesso e anche ogni giorno, la Messa; di notte, invece, quando più di ogni altro prolungava le sue veglie estenuanti.

Aveva l’abitudine di passare assai spesso la notte in chiesa, a tal punto che si pensava che mai o raramente egli usasse un letto per dormire. Di notte, dunque, pregava e prolungava le sue veglie fino a quando glielo permetteva la fragilità del suo corpo. Quando poi alfine sopravveniva la stanchezza e la mente s’intorpidiva, vinto dal bisogno del sonno appoggiava la testa all’altare o in qualunque altro luogo, ma in ogni caso su una pietra come il Patriarca Giacobbe, e riposava un momento. Poi si risvegliava e riprendeva la sua fervorosa preghiera.

Accoglieva tutti gli uomini nell’ampio seno della sua carità e perché tutti amava, da tutti era amato. Faceva sue le parole di san Paolo: « Gioire con chi gioisce, piangere con chi piange ». Traboccante com’era di pietà, si dedicava tutto per aiutare il prossimo e sollevare le miserie. Questo inoltre lo rendeva a tutti carissimo: la semplicità del suo agire. Mai nessun segno di doppiezza o di finzione fu riscontrato nelle sue parole o nelle sue azioni.

Vero amante della povertà, usava vestiti di poco valore. Nel mangiare e nel bere la sua temperanza era rigorosa: evitava cibi delicati, e s’accontentava volentieri di un semplice unico piatto. Aveva un dominio assoluto sulla sua carne. Beveva vino ma talmente annacquato che, mentre soddisfaceva alle necessità del corpo, non correva certo rischio di annebbiare la sua intelligenza sveglia ed acuta.

Chi sarà mai capace d’imitare la virtù di quest’uomo? Possiamo ammirarlo e misurare dal suo esempio la pigrizia del nostro tempo. Ma poter ciò ch’egli potè, supera le umane capacità, è frutto di una grazia unica, a meno che la bontà misericordiosa di Dio non si degni di innalzare qualcuno a un simile fastigio di santità.

Imitiamo perciò, o fratelli, come possiamo, le orme del padre e nello stesso tempo ringraziamo il Redentore per aver dato a noi suoi servi, sulla via che percorriamo, un tale condottiero, per mezzo del quale egli ci ha rigenerati alla luce di questa nostra forma di vita religiosa. E preghiamo il Padre delle misericordie affinché, governati da quello Spirito che fa agire i figli di Dio, percorrendo la strada che percorsero i nostri padri, senza deflettere possiamo giungere anche noi a quella stessa meta di perpetua felicità ed eterna beatitudine, nella quale felicemente e per sempre egli è entrato.

Domenico era dotato di grande santità ed era sostenuto sempre da un intenso impeto di fervore divino. Bastava vederlo per rendersi conto di essere di fronte a un privilegiato della grazia.

V’era in lui un’ammirabile inalterabilità di carattere, che si turbava solo per solidarietà col dolore altrui. E poiché il cuore gioioso rende sereno il volto, tradiva la placida compostezza dell’uomo interiore con la bontà esterna e la giovialità dell’aspetto.

Si dimostrava dappertutto uomo secondo il Vangelo, nelle parole e nelle opere. Durante il giorno nessuno era più socievole, nessuno più affabile con i fratelli e con gli altri. Di notte nessuno era più assiduo e più impegnato nel vegliare e pregare.

Era assai parco di parole e, se apriva la bocca, era o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio. Questa era la norma che seguiva e questa pure raccomandava ai fratelli. La grazia che più insistentemente chiedeva a Dio era quella di una carità ardente, che lo spingesse a operare efficacemente alla salvezza degli uomini. Riteneva infatti di poter arrivare a essere membro perfetto del corpo di Cristo solo qualora si fosse dedicato totalmente e con tutte le forze a conquistare anime. Voleva imitare in ciò il Salvatore, offertosi tutto per la nostra salvezza.

A questo fine, ispirato da Dio, fondò l’Ordine dei Frati Predicatori, attuando un progetto provvidenziale da lungo accarezzato. Esortava spesso i fratelli, a voce e per lettera, a studiare sempre l’Antico e il Nuovo Testamento. Portava continuamente con sé il vangelo di Matteo e le lettere di san Paolo, e meditava così lungamente queste ultime da arrivare a saperle quasi a memoria.

Due o tre volte fu eletto vescovo; ma egli sempre rifiuto, volendo piuttosto vivere con i suoi fratelli in povertà. Conservò illibato sino alla fine lo splendore della sua verginità. Desiderava di essere flagellato, fatto a pezzi e morire per la fede di Cristo. Gregorio IX ebbe a dire di lui: “Conosco un uomo, che seguì in tutto e per tutto il modo di vivere degli apostoli; non v’è dubbio che egli in cielo sia associato alla loro gloria “Dalla” Storia dell’Ordine dei Predicatori”.

(Libellus de Principiis O.P.; Acta canoniz. sancti Dominici; Monumnta O.P. Mist. 16, Romae 1935, pp. 30 ss., 146-147)