Il Messaggio per la 50° Giornata Mondiale della Pace di papa Francesco, costruito su di un’ampia sinfonia di citazioni del magistero pontificio precedente, è dedicato alla nonviolenza come stile di una politica di pace. Chi non fosse rimasto stordito dall’abbondanza dei riferimenti, dovrebbe almeno felicemente stupirsi per l’espressione “rivoluzione cristiana”, impiegata in riferimento all’amore per i nemici non dal Papa sudamericano ma dal ben più “posato”, ma non meno radicale Benedetto XVI (Angelus, 18/02/2007). Si trattava per il Papa bavarese di chiarire che solo la rivoluzione dell’amore – che è dono della misericordia di Dio e che si esprime, appunto, nell’amore dei nemici – possa manifestare una convinzione tale del primato di Dio da ispirare quell’“eroismo dei piccoli” che solo può animare la “nonviolenza cristiana”.
Nessuna scusa quindi può essere chiamata in causa per difendersi dall’appello di Francesco ad assumere uno stile politico di pace, a vivere cioè all’insegna della nonviolenza attiva di cui ci parla il Crocifisso risorto, il solo che ha realizzato la pace e distrutto le radici dell’inimicizia (Ef 2,14-16). Addestrati in base al «manuale di questa strategia di costruzione della pace» che è il Discorso della montagna (Mt 5,1-7,28), come Cristiani siamo chiamati da Francesco ad essere «artigiani di pace» adottando le pratiche della nonviolenza attiva. Si tratta, ad esempio, di riconoscere la violenza che ognuno di noi porta dentro di sé, lasciandosi guarire dalla misericordia di Dio, d’imparare a testimoniare la verità senza cedere al fascino del potere, portando su di sé le conseguenze del male (proteggendone, se possibile, gli altri), e di rispondere al male con il bene.
Come Domenicani dobbiamo essere in grado di prenderci cura della pace a partire dalle nostre comunità per allargarci al mondo intero, studiando le cause della violenza (politica, economica, sociale, psicologica, religiosa…) ed impegnandoci perché le controproposte – piccole e grandi – siano realizzate a partire dalla forza di agape, da implorare come dono del Padre, per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. In questo modo, condivideremo effettivamente con il Papa la ferma convinzione che «la violenza è una profanazione del nome di Dio» (Discorso nell’Incontro con lo Sceicco dei Musulmani del Caucaso…, Baku, 02/10/2016) e, pertanto, «solo la pace è santa, non la guerra» (Discorso, Assisi, 20/09/2016).
La rivoluzione cristiana, che vuole giungere fino a decostruire le strutture di peccato che opprimono milioni di persone attraverso le decisioni politiche, economiche e militari dei potenti di questo mondo, si attua praticando la nonviolenza attiva, in risposta al comandamento di Gesù che ci dona la grazia per poter amare i nemici come Lui ha fatto morendo sulla croce per risorgere e concedere la sua misericordia «a partire da Gerusalemme».
Uno dei più significativi teologi statunitensi, Stanley Hauerwas – un originale texano pacifista – ha spiegato che lo stile della nonviolenza inizia dalla conversione personale da viversi in comunità. Un suo celebre detto recita: «Sono un pacifista, perché sono un violento figlio di buona donna!» Cosa significa questo paradosso? Secondo Hauerwas non occorre essere degli eroi dell’etica per vivere la nonviolenza secondo le radicali esigenze del Vangelo, ma occorre premettere una semplice riflessione: «Io sono violento e questa è la ragione per cui – creando in te delle aspettative sulla necessità della pace – ho una qualche speranza che mi aiuterai a tenermi fedele a ciò che è vero, ma che non credo di poter essere capace di vivere. Così si crea quel genere di vulnerabilità che rende possibile la pace» (http://www.huffingtonpost.com/andrew-p-klager-phd/the-vulnerability-that-ma_b_5579366.html). Riconoscersi quindi “peccatori”, per implorare – nella quotidiana vita di relazione con le sorelle e i fratelli – la grazia di Dio che perdona e ci rende simili a Cristo… è ancora e sempre la via giusta… anche per vivere la nonviolenza dei rivoluzionari cristiani. Desideriamo percorrere questa via o continueremo a giustificare la nostra violenza quotidiana con la scusa di una malvissuta vulnerabilità?

Fra Marco Salvioli
Promotore provinciale di Giustizia, Pace, Creato