L’orientamento nella preghiera.
La tradizione occidentale e orientale non è unanime su questo atteggiamento orante. Anche qui è questione di accentuazioni. Non so se Gesù nell’ultima cena fosse rivolto ad oriente e girasse le spalle agli apostoli mentre rendeva grazie con la preghiera di benedizione. Gesù nella sua preghiera, anche personale, si rivolgeva ad oriente o semplicemente levava lo sguardo al cielo? I vangeli accennano soltanto a questo secondo atteggiamento.
A oriente perché? L’aggancio è nel Benedictus dove si parla di Gesù che viene dall’alto come sole che sorge, «oriens». Stante questa interpretazione ci domandiamo: quando gli antichi cristiani dicevano marana tha, vieni Signore, si volgevano ad oriente, verso dove sorge il sole, e da dove, secondo alcuni, verrà il Cristo la seconda volta? Può darsi che da qualche parte ciò sia stato fatto, ma è tradizione solo ciò che dovunque e sempre è stato fatto, diceva sant’Agostino. Il resto sono consuetudini locali. Nella nostra liturgia domenicana, nella messa solenne, era stato inserito un gesto particolare: per la proclamazione del vangelo il diacono si volgeva verso nord, non verso l’assemblea; era un segno: il vangelo che viene proclamato al mondo avvolto nelle tenebre (nord).
La fede cristiana ha una visione più comprensiva del mistero di Cristo: egli non è soltanto colui che deve venire o che viene, ma anche colui che era, e che è già in mezzo a noi. La vita cristiana è tesa tra il già e il non ancora. Come esprimere nella liturgia, in gesti simbolici, questa realtà di Cristo già presente e che ancora deve venire? Questo è il problema liturgico rituale. Penso che l’atteggiamento più espressivo sia quello del coro, a semicerchio, circumstantes. Quando siamo in coro è evidente che la posizione esprime Cristo in mezzo alla sua comunità. Come esprimere anche l’avvento? Come esprimere l’attesa? La posizione del semicerchio esprime bene anche questo: la comunità è attorno a Cristo presente in mezzo ad essa, e insieme è aperta nell’attesa, con lo sguardo rivolto verso l’alto e con le mani alzate nella invocazione e nel rendimento di grazie.
Allora, rivolti a oriente? Personalmente preferirei accentuare il Cristo in mezzo a noi, e dovremmo pensare di più a questo fatto quando siamo nella preghiera comunitaria («dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»), e avere un atteggiamento conseguente. Ma nello stesso tempo dobbiamo sentirci in attesa che il Cristo si mostri ancora a noi visibilmente, una seconda volta, come ha fatto nelle apparizioni dopo la resurrezione e come ha promesso che farà al suo ritorno. Penso tra l’altro, che l’orientamento delle chiese, anticamente, rispondesse anche a delle necessità pratiche: essere illuminati dal sole del mattino e della sera (attraverso le finestre) quando la comunità si riunisce in preghiera: al mattino e alla sera il sole illumina la navata. Poi gli si è data una motivazione spirituale, come è avvenuto anche per la lavanda delle mani che il vescovo faceva nella messa dopo aver raccolto le offerte dei fedeli e che è divenuto in seguito un gesto di purificazione. Similmente, nel nostro Ordine, tenere il cappuccio in testa e la cappa in coro durante i mesi invernali (europei), cioè in autunno e inverno, da metà settembre a pasqua, era più che naturale, per il freddo. Dopo, forse, è diventato segno di raccoglimento.
È secondo i nostri usi, invece, rivolgerci tutti verso l’altare, o verso il crocifisso se si celebra in un luogo nel quale non c’è l’altare, all’inizio delle Ore dell’Ufficio e all’orazione (se in questo caso non si fa l’inclinazione profonda come nelle dossologie). Similmente avveniva per la celebrazione della messa. Uso che ho visto riprendere, giustamente, a Santa Sabina a Roma.